VIDEO | Morto a 41 anni lo scorso mese di giugno, ha una sezione a lui dedicata al Centro clinico San Vitaliano di Catanzaro, dove ha trascorso gli ultimi cinque anni della sua vita
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«E' come se Simone fosse rimasto sempre qui. Mi sembra di vederlo nella sua stanzetta, bello e sorridente». Con gli occhi pieni di lacrime Maria Sicilia ricorda suo figlio Simone Tommasiello, morto di sla a 41 anni lo scorso mese di giugno. Gli ultimi 5 anni della sua vita Simone li ha trascorsi al Centro Clinico San Vitaliano di Catanzaro, specializzato per l'assistenza ai pazienti affetti da sla, una clinica che è diventata la sua seconda casa e che oggi lo ha voluto ricordare intitolandogli quel reparto dove ormai tutto parla di lui. «Oggi sicuramente è un giorno di festa - commenta il fratello Gianluca - ringraziamo tutto il personale e tutte le persone che hanno lavorato e che lavorano tutt'oggi in questa struttura. Sicuramente Simone ha lasciato un segno dentro di loro. La sua felicità è il nostro sorriso oggi».
Un amico e un paziente speciale
Alla cerimonia, sobria ma intensa, insieme alla sua famiglia, al direttore sanitario Venturino Lazzaro e al presidente Alfredo Citrigno, c'erano anche alcuni amici di Simone, tra questi Stefano Gigliotti, tetraplegico. Insieme hanno condiviso il dolore della malattia ma anche la grande voglia di lottare: «Ho conosciuto Simone in questa struttura circa 5 anni fa. Al primo sguardo è stato amore. E' nata subito un'amicizia forte. Nella guerra è stata una bella battaglia, lui ha lottato. Io sono stato il suo mentore. Non ho mai sentito la sua voce. Comunicavamo tramite un computer. Usavamo molto gli occhi». Un amico e un paziente speciale dunque, simbolo di coraggio e voglia di vivere. «E' stata una persona forte, coraggiosa, dignitosa - ha aggiunto il presidente del gruppo Citrigno - oggi ricambiamo tutto il suo affetto intitolandogli questo reparto di sla». Con Simone sono andati via anche il sogno di laurearsi, mettere su famiglia e diventare padre. Tutto questo la malattia non glielo ha permesso. «Abbiamo convissuto con questa malattia ma non ci eravamo rassegnati - aggiunge mamma Maria - lui era sempre in attesa che la scienza andasse avanti e che col tempo sarebbe arrivata una medicina in grado di farlo stare meglio. Lui aspettava la sua medicina ma non è arrivata in tempo. Spero che arrivi per altri malati».