«I nostri bambini usati come bancomat per fare soldi». Gina Guaglianone è una delle tante mamme dei bambini autisti dell'alto Tirreno cosentino che quotidianamente deve fare i conti con una sanità pubblica che fa acqua da tutte le parti e con l'abbandono da parte dello Stato. Come lei, tante altri genitori sono ormai allo stremo. «La Regione Calabria non fa nulla per aiutare i nostri ragazzi. Ci sentiamo esclusi dal mondo intero». L'impressione è che i loro figli siano piuttosto un peso, soprattutto per la società, che non li considera parti integranti e non offre loro nessuna opportunità di crescita e sviluppo, a meno che non si metta mano al portafogli. Un esempio? Molte strutture del territorio non li accettano e quando lo fanno chiedono la presenza di un terapista esperto, a cui vanno non meno di 28 euro all'ora, soldi che non vengono in alcun modo rimborsati.

Niente terapie e niente rimborsi

Per spiegare appieno il disagio vissuto dalle famiglie dei bambini autistici del Tirreno cosentino, alcune mamme si sono riunite questa mattina nel piazzale del presidio sanitario di Scalea, l'unica struttura del circondario che vanta un ambulatorio di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza. Qui decine di pazienti si sottopongono giornalmente alle terapie di psicomotricità e logopedia, ma di terapie Aba, specifiche per lo spettro autistico, neanche a parlarne. Dopo anni di lotte da parte delle famiglie, nell'inverno scorso l'Asp di Cosenza aveva finalmente pubblicato il bando per la ricerca di professionisti a cui affidare il coordinamento delle nuove terapie, ma a causa di un errore il bando è stato ritirato, in attesa di ulteriori disposizioni. Di conseguenza, nei casi più gravi, le famiglie sono costrette a recarsi o fuori regione, a Lauria, in Basilicata, o a Rossano, avventurandosi in un viaggio di circa cinque ore per cinque giorni alla settimana. Oppure c'è la terza opzione, che per questioni di comodità è anche la più gettonata, ed è quella di rivolgersi alle strutture private. A Scalea ve ne sono due. Un'ora di terapia costa tra le 25 e le 30 euro all'ora, un'ulteriore spesa che molte famiglie non possono sostenere. Così succede che il percorso di cura si riduca da trentasei ore settimanali, come prescritto nei piani terapeutici, a cinque o sei.

Oltre al danno, la beffa

Oltretutto, gli sforzi economici delle famiglie rischiano di andare in fumo. I fondi regionali per il sostegno e le cure dei bambini autistici sono previsti soltanto per quei casi in cui la gravità è indicata come livello 3. Per il livelli inferiori non è previsto invece alcun aiuto economico e questo, come racconta Angela Colucci, rappresenta un vero e proprio controsenso. «Se mia figlia è passata dal livello 3 al livello 2 è proprio grazie alle terapie». Senza, la bambina ha alte probabilità di regredire e perdere tutti i progressi conquistati fin qui. Lo stesso discorso vale per i bambini con sindrome di Down, le famiglie sono costrette a stringere la cinghia e ad arrangiarsi. «Mia figlia - ci dice Graziella Adduci - ha necessità di recarsi spesso a Roma per delle visite specifiche ed è tutto a carico nostro. Anche le attività extra, come la danza o andare a cavallo, io e mio marito - che ha un lavoro precario, ndr - dobbiamo pagarle di tasca nostra».

Insieme per la tutela dei diritti

Alla luce di queste e altre note controversie, qualche mese fa è nata un'associazione, "Insieme si può", presieduta da Micaela Prospato, giovane imprenditrice scaleota da sempre impegnata nel sociale. «L'abbiamo chiamata così perché solo insieme si può - dice Gina Guaglianone, con la voce rotta dall'emozione -. Affrontare una giornata con un bambino autistico è molto difficile, perché i tempi di attenzione sono brevi». Si è costretti quasi sempre tra le quattro mura di casa, senza poter fare alcuna attività, e ciò genera spesso delle crisi, anche violente. «I nostri bambini hanno bisogno di relazionarsi con i loro coetanei, come tutti, eppure spesso non riusciamo a soddisfare questo bisogno perché ancora oggi vengono considerati strani, diversi». E così le famiglie, il più delle volte, si sentono emarginate e restano chiuse nel proprio dolore, sognando una società civile, non solo a parole, che impari a includere tutti e a esaltare l'unicità di ogni singolo essere umano invece che mortificarla.