L'ospedale di Praia a Mare non può ospitare i malati Covid per una serie di motivazioni tecniche e logistiche. A sostenerlo è Andrea De Lorenzo, referente per il Tirreno di Nursind (sindacato nazionale delle professioni infermieristiche), nonché infermiere in servizio nella struttura sanitaria della città dell'isola Dino. De Lorenzo smentisce così i sindaci del territorio altotirrenico, che nei giorni scorsi avevano chiesto in coro di utilizzare le stanze vuote dell'ex ospedale civile, dal 2012 riconvertito in casa della salute.

De Lorenzo: «Non ci sono i presupposti»

Secondo De Lorenzo non ci sarebbero i presupposti per trasformare la struttura praiese in ospedale o hotel Covid. I motivi sono proncipalmente due: personale sanitario non ancora formato alla gestione dei pazienti colpiti da Sars-CoV-2 e condizioni strutturali che non si prestano alla realizzazione dei percorsi di sicurezza e alle cure dei contagiati.

Sì alla rete di emergenza e urgenza

De Lorenzo, al tempo stesso, sostiene la riattivazione della rete di emergenza e urgenza che consentirebbe al presidio sanitario praiese di riacquistare lo status di ospedale e tornare a servire un bacino di utenza di circa 35mila abitanti, numeri che nei periodi estivi quadruplicano. «Come ormai sappiamo bene - dice De Lorenzo - su questa struttura pende una sentenza del Consiglio di Stato, mai attuata, che annulla gli atti della riconversione». I giudici capitolini scrissero, nel 2014, le nuove disposizioni non avrebbero garantito i Lea. «In questo momento - dice ancora l'infermiere - riaprire l'ospedale sarebbe di grande aiuto alle strutture Covid». Ma non è tutto. «Riaprire un ospedale di confine, com'è quello di Praia a Mare, consentirebbe di ridurre drasticamente l'emigrazione sanitaria». Il fenomeno ogni anno contribuisce ad aumentare il debito abnorme della sanità calabrese. Molti cittadini dell'area altotirrenica, infatti, in situazioni di emergenza o urgenza si vedono costretti a recarsi nei presidi della vicina Basilicata, anziché rimanere in Calabria e tentare la "fortuna" in ospedali che distano anche 60-70 chilomentri.

 

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