Il dispositivo ideato dall’architetto Alfredo Bigogno porta la voce di mamma e papà all’interno delle incubatrici sotto forma di vibrazioni sonore del tutto simili a quelle avvertite in grembo dal nascituro.

I piccoli ricoverati in terapia intensiva neonatale

Un modo per mantenere il contatto tra i piccoli ricoverati in terapia intensiva neonatale ed i genitori, con molteplici benefici sotto il profilo dell’umanizzazione delle cure. Perché quel suono rassicurante riempie e satura le percezioni sensoriali del bimbo, sovrastando quelle dolorose derivanti da pratiche mediche necessarie come, ad esempio, il prelievo del sangue. Il Mami Voice, questo il nome dell’apparecchio, sperimentato con successo per la prima volta nel bresciano da un medico calabrese, il dottor Gaetano Chirico, approda adesso all’ospedale dell’Annunziata che ne ha già testato l’efficacia durante la pandemia, quando era necessario limitare gli accessi in reparto per il rischio di contagi.

Come funziona il dispositivo

Semplice il funzionamento, spiegato nel corso di un incontro con i giornalisti al quale, oltre all’inventore del sistema, sono intervenuti tra gli altri, il direttore del dipartimento materno-infantile Gianfranco Scarpelli, il direttore dell’unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia Michele Morelli e la psicologa Michela Peta. I genitori registrano la voce su una chiavetta Usb. Il dispositivo, a batteria per limitare al massimo le onde elettromagnetiche, trasmette poi il contenuto sonoro con vibrazioni emesse da un trasduttore collocato all’esterno delle culle.

Donato alla comunità

Il prototipo è stato realizzato con un finanziamento pubblico. Anche per questo Alfredo Bigogno ha scelto di rinunciare al brevetto e quindi ad ogni eventuale ritorno economico derivante dall’impiego del dispositivo che, dopo Cosenza, sarà adottato anche al Gom di Reggio Calabria.