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L’inchiesta aperta sulla morte per insufficienza cardiaca di un cinquantenne romano, che 5 giorni prima aveva subito un trapianto di cuore, ha molto scosso l’opinione pubblica italiana. L’organo apparteneva a un quarantaseienne deceduto in seguito a un arresto cardiaco in piscina. Sebbene il suo cuore avesse poi ripreso a battere regolarmente, i danni riportati dal cervello erano ormai irreversibili. Una vicenda che andrebbe misurata innanzitutto in un’ottica scientifica prima ancora che giudiziaria, ma che inevitabilmente ha generato perplessità e dubbi. Se i medici hanno sbagliato a valutare l’idoneità di un organo al trapianto - è il timore di molti - potrebbero sbagliare anche nel valutare la tempestività dell’espianto nella routine delle donazioni.
Pellegrino Mancini, direttore del centro regionale per i trapianti, che coordina la lista d’attesa in Calabria, esclude categoricamente che nel caso del paziente romano siano stati fatti errori. «Si tratta di una fake news - afferma deciso -. L’organo era perfettamente idoneo al trapianto, su questo non c’è alcun dubbio. Questa non è un’opinione in difesa dei medici che hanno valutato l’organo, ma un’evidenza scientifica dimostrata dagli esami a cui è stato sottoposto il cuore prima del via libera al trapianto. Addirittura è stata effettuata una coronarografia, che non viene fatta nella maggior parte dei casi, la quale non ha evidenziato alcun problema. Un cuore assolutamente sano che però è stato trapiantato in un paziente affetto da molte patologie. La verità è che un trapianto non è mai a rischio zero e la prima informazione che ricevono i pazienti è proprio questa».
Sulla possibilità che un organo venga espiantato troppo “frettolosamente”, Mancini rimarca ciò che è quasi un mantra per chi è impegnato a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle donazioni: «L’espianto si effettua esclusivamente quando siamo in presenza di una diagnosi di morte cerebrale, che è certa al cento per cento». «Questi sono temi delicati, perché toccano la sensibilità delle persone su questioni che istintivamente tendiamo a evitare - continua il direttore del centro trapianti della Calabria -, ma sono convinto che tutti dovremmo avere il coraggio e l’opportunità di decidere autonomamente cosa fare dei nostri organi dopo la morte, senza delegare ad altri questa scelta, per giunta in frangenti estremamente drammatici perché legati alla morte improvvisa di un proprio caro, magari a seguito di un incidente stradale».
È ciò che accade quando, in assenza di disposizioni in vita, a dare il consenso alla donazione sono chiamati i familiari, che nel 60 per cento dei casi rifiutano, spesso perché sopraffatti dal dolore e perché costretti a interrogarsi di punto in bianco su questioni irrisolte anche per se stessi.
Una soluzione per consentire di esprimere in vita il proprio consenso è offerta dalla possibilità di indicare la volontà di donare direttamente sulla propria carta d’identità. Da alcuni anni il Garante della privacy ha dato il via libera all’inserimento della dicitura “donatore di organi e tessuti” sulle vecchie carte d’identità, ma ad oggi, in Calabria, sono appena 25 i Comuni, su un totale di 405, che offrono questa possibilità ai propri cittadini. Problema che dovrebbe essere completamente superato quando, a metà del prossimo anno, dovrebbe andare a regime il rilascio della carta d’identità elettronica che sostituirà quella cartacea, prevedendo l’obbligo di esprimere il proprio consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti in caso di morte. Volontà che verrà inserita nel Sistema informativo trapianti (Sit), ma potrà essere successivamente modificata con una richiesta all’Asl di appartenenza o in caso di rinnovo del documento d’identità.
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Un traguardo importante in una regione come la Calabria, che non può vantare grande sensibilità su questo tema da parte delle istituzioni. Lo dimostra non solo l’esiguo numero di Comuni che consentono di prestare il proprio consenso alla donazione, ma anche il fatto che ancora oggi, a pochi mesi dall’introduzione della carta d’identità elettronica, le delibere di giunta comunale che finalmente permettono la dicitura anche sui vecchi documenti cartacei, vengono sbandierate come grandi conquiste di civiltà, ma, nei fatti, sono soltanto il sintomo di un sistema pubblico perennemente in ritardo anche su questioni di vita e di morte.
Enrico De Girolamo