Parla Massimo Poggi, presidente dell’associazione Vivere insieme, che gestisce diverse case di cura: «Vi spiego cosa non funziona, dai fabbisogni non garantiti ai contenziosi milionari»
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Proseguono le alzate di scudi contro le inefficienze del comparto sanitario. A puntare l’indice contro i ritardi in materia, questa volta, di residenzialità per anziani, è un pezzo da 90 della sanità privata calabrese: Massimo Poggi, presidente dell’Associazione Vivere insieme, gestore di strutture residenziali assistite tra Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia. In sostanza, una voce importante del comparto privato della sanità regionale, che da anni dialoga con la Regione e con i commissari, fornendo servizi di assistenza. Un dialogo che, stigmatizza il manager, da anni si è ridotto all’osso, a discapito delle Residenze sanitarie assistite (Rsa): ovvero delle strutture non ospedaliere, a carattere sanitario, che riabilitano persone più o meno autosufficienti, e che sono il focus del soggetto no profit.
«Il documento di riorganizzazione della rete dell’assistenza territoriale, individua i numeri del fabbisogno regionale di Rsa, ovvero di posti letto nelle residenze sanitarie assistite: ma lo fa solo sulla carta. In realtà, questi numeri non vengono minimamente rispettati», dichiara Poggi. «La riabilitazione è penalizzata. La carenza sul territorio è massima, e da dieci anni le disponibilità effettive sono ben inferiori a quanto stabilito. Inoltre, i dati utilizzati per fissare necessità e disponibilità effettive dei diversi territori, sono quelli dell’anagrafe 2013. In questi anni la Calabria si è invecchiata, e la percentuale di over 65 si è alzata di molto».
La situazione nel Vibonese
«Nel Vibonese, in particolare, la situazione è emergenziale», prosegue Poggi. «Se il piano parla di 20 posti disponibili nel pubblico (Casa di cura di Soriano) e 32 da attivarsi nel privato (ovvero presso la Madonna delle Grazie, la nostra struttura di Filadelfia), la realtà è ben diversa: Soriano offre non più di 8 posti su 20 dichiarati, e a noi ne vengono finanziati solo 20. In sostanza, dei 52 posti dichiarati sulla carta, non ve ne sono che 32. Senza considerare che il fabbisogno programmato sarebbe di 116 posti».
Le cause del problema
Anche gli altri territori lamentano una situazione emergenziale e, spesso, la totale mancanza di posti. «Anche nel caso delle dipendenze patologiche - continua Poggi -, dell’autismo, della residenzialità in materia di salute mentale, alle necessità indicizzate, ovvero ai posti da attivare messi nero su bianco, devono aggiungersi quelli dati come attivati, e inesistenti. Uno stato di incertezza, aggravato dalle tensioni tra commissari, ministro, presidente della Regione, da una sanità devastata, da un turn over politico ininterrotto, che è gestita da 9 anni da commissari privi della disponibilità economica per mettere a posto le cose».
Il rischio del contenzioso
Al blocco delle procedure, si aggiunge il buco nero del contenzioso: «Per far ripartire la sanità, bisogna quantificare i fabbisogni, e gestire i fattori di rischio. Bisogna iniziare a fare chiarezza. Il commissario deve potersi dotare, per ogni azienda sanitaria provinciale, del quadro delle risorse che potrebbero essere necessarie, anche in caso di contenziosi. Ad oggi, non si è mai fatta un’analisi che facesse emergere il peso del contenzioso, nel bilancio della Sanità. E stiamo parlando di una spada di Damocle enorme, una delle voci più pesanti ed imprevedibili.
La legge 231 del 2002, che fissa i tassi d'interesse, è stata aggiornata nel 2013 e obbliga il soggetto che perde la causa a pagare il risarcimento con un tasso pari all’8%. Con le lentezze dei rimborsi, parliamo di un tasso altissimo, che spesso supera il capitale oggetto del contendere. Se consideriamo che la sanità regionale è letteralmente presa di mira da fornitori, pazienti, erogatori di servizi, ed abbiamo cause che risalgono agli anni 90, capiamo come ogni causa persa equivalga ad un ulteriore dissanguamento. È una politica che non fa bene ai cittadini - conclude il manager -. Io ho sollecitato a tutti gli organi competenti il rispetto delle convenzioni e dei fabbisogni, ad iniziare dai 32 posti che dovrebbero essere garantiti a Filadelfia. Ma ad oggi, ancora non ci vengono date risposte».