«Il nostro ostacolo più grande non è la malattia di nostro figlio, anche se lo vorremmo sano, ma la burocrazia». Antonio, papà di Natale, un ragazzo di 22 anni affetto da tetraparesi spastica degenerativa da mutazione genetica non solo deve combattere con la terribile patologia del figlio, ma deve anche combattere con le inefficienze delle istituzioni.

Da undici mesi l’Asp di Reggio Calabria non eroga l’assegno mensile che il Governo ha già stanziato nel 2015, con i fondi destinati ai disabili gravi, e nessuno sa dare a questa famiglia delle spiegazioni. «Una volta non c’è la delibera, una volta non c’è chi deve mettere la firma - ci racconta il signor Antonio - un’altra volta ancora ci rimandano non si sa neanche perché. Onestamente siamo stanchi e ci sentiamo presi in giro; se abbiamo un po’ di forza la dobbiamo dare a nostro figlio e non possiamo sprecarla vanatemene agli uffici dell’Asp».

Si tratta di soli 600 euro al mese. Una somma esigua che permetterebbe, però a questa famiglia, come alle altre 200 di Reggio Calabria nella stessa situazione, di affrontare meglio le difficoltà. Entrambi i genitori di Natale infatti, non lavorano poiché per prestargli assistenza devono stare in casa tutto il giorno. «Noi non abbiamo una vita sociale - ci dice il padre - stiamo sempre in casa per lui e con lui. E quando non siamo in casa è perché comunque dobbiamo occuparci della gestione di altre vicende sempre per nostro figlio. Ci alterniamo io, mia moglie e l’altro mio figlio per dargli il supporto necessario e la giusta assistenza. Non possiamo lavorare e quindi viviamo solo con la sua pensione; se ci dessero quanto è dovuto sicuramente affronteremmo meglio la vita. Essere genitori di un ragazzo disabili è una missione. Non ti puoi permettere neanche una passeggiata, ma noi lo facciamo con l’amore che nostro figlio merita».

Una vita con lui e per lui

A Natale la patologia è stata diagnosticata a tre anni. Nonostante la gravità, il ragazzo è riuscito ad andare a scuola e sempre con l’affetto dei suoi cari è riuscito a vivere con dignità la malattia. Oggi, però lo stato della malattia è molto avanzato e Natale non vede, non cammina, non si alimenta da solo, ed è quindi costretto a stare a letto tutto il giorno. «Alle due di notte mio figlio termina di mangiare, termina la prima fase, dopo tre ore, quindi passata la fase della digestione, deve assumere dei farmaci e dopo un’ora deve nutrirsi nuovamente. A mezzogiorno termina quindi un’altra fase. Alle due di pomeriggio invece, iniziamo con la somministrazione dell’acqua che termina intorno alle 19. Dopodiché Natale deve assumere altri farmaci per l’epilessia e alle 20 di nuovo la terapia alimentare che termina alle due di notte».  

Inoltre, anche alla sorellina più piccola è stata diagnosticata la stessa patologia. Le sue condizioni fortunatamente non sono ancora gravi come quelle del fratello, ma questa famiglia comunque deve necessariamente anche occuparsi di lei. «Essere disabili in Calabria è ancora peggio che esserlo altrove - ci dice con rammarico il signor Antonio. Lo Stato centrale i soldi li ha stanziati, non è lui che ci ha lasciato soli. Sono le istituzioni territoriali, quelle che dovrebbero essere più vicini al cittadino poi hanno creato situazioni. Se non ci fossero le famiglie, se non ci fossero le organizzazioni come l’Aisla, l’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica che ci supporta nonostante mio figlio non soffra di questa patologia, tutti questi malati sarebbero soli ed è inaccettabile».

L’appello all’Asp: «Rispettate i diritti di mio figlio»

L’Asp al momento fornisce solo un’ora di fisioterapia al giorno e senza questo piccolo contributo Natale vede calpestata da un ente pubblico il diritto alla salute e la sua dignità. Ed è per questo che papà Antonio rivolge un appello alla terna commissariale. «Devono necessariamente - dice alla nostra testata rivedere le norme e vedere se sono le norme che non vanno bene oppure se semplicemente devono prendere la pratica ed evaderla e dare a noi, che siamo in difficoltà, quello che è giusto e che ci tocca per legge». C’è una famiglia disperata, c’è una famiglia quindi che ancora una volta è costretta a chiedere che un diritto venga rispettato in una terra dove ormai ciò è diventato una terribile prassi. La vita con la famiglia Alvaro si potrebbe facilmente dire che è stata davvero ingiusta eppure il signor Alvaro, con tanta dignità, manda un messaggio importante, un messaggio di speranza.

«Certo noi avremmo voluto che nostro figlio stesse bene, ma è nostro figlio e lo abbiamo con noi. Penso a tutte quei genitori che figli non ne hanno o perché li hanno persi, perché glieli hanno uccisi o perché non li possono avere. In molti vorrebbero un figlio come Natale. Noi siamo cattolici e quindi ci accontentiamo di quello che Dio ci dà tutti i giorni, lo viviamo per come è e non per come lo vorremmo e ne vale la pena».