La sanità pubblica è stata letteralmente travolta dall’ondata dell’emergenza Covid-19. Al Nord come al Sud, la pandemia – ad un anno di distanza – continua a richiedere sforzi indicibili al personale sanitario. Ma anche sacrifici enormi ai pazienti che, in alcuni casi, ritardano le cure finanche arrivare a rinunciarvi.

In questo triste spaccato, anche l’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia ha dovuto subire alcuni importanti adeguamenti. Lo sanno bene i malati cronici che, coronavirus e non, ogni giorno devono fare i conti con la malattia. Come T.P., 41 anni, che vive e lavora in città. Ipovedente, ipertesa, cardiopatica e anche diabetica, la donna viene costantemente seguita da medici per via delle numerose patologie.

A gennaio 2019, inizia un altro terribile calvario. Viene ricoverata d’urgenza per una grave infezione batterica addominale, svoltasi a setticemia: «Per mia fortuna quel pomeriggio giunsi in pronto soccorso in ambulanza e lì ad aspettarmi c’era di turno il dottor Alfredo Vallone, infettivologo dell'ospedale Jazzolino, che con tempestività, professionalità, dedizione e passione, mi ha salvato la vita. È stato il mio angelo», racconta.

Le cure mensili

Dopo 20 lunghi giorni di ricovero ordinario tra Obi e reparto di Malattie infettive, «ho proseguito con circa un mese e mezzo di ricovero in day hospital. Ogni giorno – aggiunge - mi recavo sempre accompagnata e sostenuta dalla mia famiglia, nell’ambulatorio del reparto M.I situato al piano terra».

Quelle pareti sono diventate sempre più familiari e ad oggi, per tenere a bada l’infezione (causata da streptococco), deve sottoporsi e terapia farmacologica una volta al mese: «Ho avuto difficoltà nel reperire il farmaco che gestiva il mio stato di salute (mi è stato detto che non si produce più), così – dopo alcune brutte recidive provocate dalla mancata assunzione - ho acquistato a mie spese una cura sostitutiva che mi viene somministrata all’interno del nosocomio».

Malattie infettive allo Jazzolino

Ma il coronavirus ha stravolto e cambiato anche la destinazione dei locali: «Oggi quel gioiello di ambulatorio, purtroppo non c’è più. Prima adibito a spazio Covid, recentemente destinato ai vaccini anti Covid». Tutto questo ha privato di fatto «i pazienti bisognosi di cure immediate o di un semplice controllo medico, di quegli spazi amorevolmente creati e curati in ogni dettaglio dal personale medico e dagli infermieri».

E ancora: «Non voglio sembrare assolutista o presuntuosa nel pensare che l’emergenza sanitaria Covid 19 non debba rivestire una tale importanza, tuttavia – rimarca - sostengo che sarebbe stato opportuno gestire gli spazi in maniera tale da tutelare le necessità dei pazienti Covid e non, cronici e non. Potevano essere utilizzate tutte quelle sedi da anni in disuso dove poter meglio gestire oltre che i pazienti anche i vaccini anti-Covid».

«Consulti nei corridoi»

In più occasioni i malati si trovano a «ricevere un consulto in corridoio oppure -chi come me attende una iniezione – aspetta che venga sgomberata l’unica stanza adibita ad “Infermeria”». L’intento della testimonianza vuole essere di sensibilizzazione: «Non si tratta di politica né di polemica ma il racconto di chi  vuole dar voce a tutti i pazienti del reparto di Malattie infettive».

In primo luogo, si chiede alle autorità sanitarie «di poter restituire ai pazienti il loro e il mio luogo della speranza che mi faceva affrontare le durissime e dolorose terapie nell’ambulatorio della speranza». Al contempo, conclude T.P. «ridare l’ambulatorio ai medici del reparto poiché ad oggi sono costretti a lavorare in situazioni logistiche molto precarie. Sono costretti a fare i salti mortali». Questo, a giudizio della paziente, anche durante la difficile situazione emergenziale, non può più essere tollerabile.