Il consumo e l’abuso di droga rappresentano ancora un grande problema per l’intero territorio di Reggio Calabria. Criticità che riguardano anche il mondo degli istituti penitenziari, considerato che il numero maggiore è proprio quello dei detenuti per reati in materia di stupefacenti. In  occasione della giornata mondiale contro il consumo ed il traffico illecito di droga si è aperto un confronto tra gli operatori del settore e il garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Agostino Siviglia. I detenuti tossicodipendenti nelle carceri reggine sono in tutto 49. 44  Ad “Arghillà” e 5 al “Panzera”.

 L’assistenza è insufficiente e il percorso di recupero non è quindi garantito dalle Istituzioni. I dati sono stati sottolineati dallo stesso Siviglia il quale pone l’accento su come «quotidianamente si assiste al mancato rispetto del diritto alla salute che è un diritto garantito dalla nostra Costituzione per tutti e anche per chi è ristretto. L’istituto penitenziario non è adatto – chiosa il garante-per la gestione di detenuti tossicodipendenti,  visto le intere criticità del sistema sanitario nazionale il quale se ne dovrebbe occupare anche in carcere così come l’Asp».


88 poi sono gli ex detenuti provenienti dal Sert i quali a causa dell’enorme buco di bilancio dell’Asp rischiano di non essere più curati così come quelli assistiti dalle comunità di recupero. Gli operatori non vengono retribuiti dal maggio dell’anno scorso e per loro potrebbero riaprirsi nuovamente le porte del carcere la loro riabilitazione essere così interrotta. «È una situazione drammatica- dichiara Luciano Squillaci, vicepresidnete del “Centro reggino di solidarità”- se l’Asp dovesse essere dichairata fallità tutte queste spettanze non sarebbero più versate a chi ha lavorato e ciò che è ancora più grave è che tutti i pazienti finiranno chi in mezzo ad una strada, chi in carcere. La chiusura delle comunità- sottolinea- porterebbe un enorme disagio sociale. I problemi non sono infatti, solo degli operatori che rimangono senza lavoro, ma sono dei malati e della cittadinanza. Se non si interviene subito- ha concluso- il rischio è davvero troppo alto e a pagarne sarebbero sempre e solo le fasce più deboli».