È pressoché impossibile non essere colpiti dalla grandezza della Basilica di Santa Maria Assunta, il tempo e le calamità hanno risparmiato le caratteristiche originarie e l’immensità abbraccia una semplice chiesa di paese
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Raggiungo Gerace, incantevole borgo in provincia di Reggio Calabria. La Porta del Sole è aperta e i miei passi vanno oltre. Mi fermo in Piazza Tribuna e rimango immobile innanzi alla bellezza della Cattedrale: sotto un cielo azzurro ci ricorda di vivere intensamente e assaporare il prezioso dono del giorno in più.
È pressoché impossibile non essere colpiti dalla sua grandezza: il tempo e le calamità hanno risparmiato le caratteristiche originarie e l’immensità abbraccia una semplice chiesa di paese. La Basilica Concattedrale Santa Maria Assunta è il simbolo di Gerace: scrigno di tesori, ma la lentezza mi obbliga “solo” alla sua visione in questo breve viaggio… tornerò per ammirare i suoi tanti diamanti.
La Cattedrale fu realizzata durante la dominazione normanna (tra il 1050 e il 1130), su ciò che rimaneva di una struttura sacra dedicata forse a Santa Ciriaca (Aghia-Kiriakì) e risalente al VII/VIII secolo d.C. Il devastante terremoto del 1783 ha distrutto la Cattedrale: per molti anni è rimasta priva di copertura, a tu per tu con il cielo.
Il viso rugoso della Cattedrale guarda sulla Piazza Tribuna. Innanzi a me si apre un portale e su di esso intravedo un grande finestrone: nelle più importanti manifestazioni religiose il vescovo benedice i suoi fedeli. Altra unicità: ciò che vedo non è l’entrata principale. L’ingresso si trova nel lato opposto: scendo una scala ed entro, innanzi a me l’impossibile diventa possibile.
Ammiro in silenzio la sua grandezza: 1898 metri quadri di superficie, tre navate, due file di dieci colonne e una luce celestiale che proviene da finestre e da piccole aperture.Cammino e non so da che parte iniziare a bere la bevanda dell’arte e della spiritualità: il busto del vescovo Diez de Aux (XVII-XVIII secolo) a sinistra, mentre a destra il vescovo Ottaviano Pasqua (XVI secolo). Un mosaico che raffigura la Vergine Platitera (la più Grande dei Cieli) e poi l’incredulità di San Tommaso del 1531.
Raggiungo l’altare barocco: a destra il sepolcro marmoreo di Nicola Polizzi, opera di Lorenzo Calamech del 1599 e il crocifisso ligneo opera dello scultore sidernese Giuseppe Correale degli anni ’80, il sarcofago del cinquecento opera di Gian Domenico Manni che racchiude i corpi imbalsamati dei conti di Gerace Giovanni e Battista Caracciolo, feudatari della città tra il XIV e il XV secolo.
L’altare marmoreo è opera di artisti messinesi e geracesi degli inizi del XVII secolo. Il presbiterio di sinistra è dedicato alla vergine immacolata protettrice della città, altra opera bronzea di Giuseppe Correale: raffigura il miracolo della vergine a tutela della città.
E poi… mi fermo,
perché il racconto del viaggio
è solo una parte del viaggio.
La scala in pietra,
la porta dei vescovi,
il saluto della gente,
i passi e il sole,
che ancora una volta
mi hanno accompagnato
nell’attesa della sera.