Per ironia della sorte, i 30 anni di tangentopoli, scoppiata il 17 febbraio del 1992, si incrocia oggi con la decisione della Corte Costituzionale di ammettere 5 referendum su 6 sulla giustizia voluti dal Partito Radicale con il sostegno della Lega. Sembra casuale ma non lo è affatto, almeno sotto il profilo della conseguenzialità degli eventi che si sono succeduti nel corso di questi tre decenni.

Una conseguenzialità che ha portato un pezzo di opinione pubblica (la politica e il parlamento si è rivelata totalmente impotente) a chiedere al popolo di correggere una prassi giudiziaria fuori controllo, e tentare la riforma di una branca dello Stato, la Magistratura, arrivata al punto più basso della sua credibilità. La vicenda di Tangentopoli, dunque, se da un lato la possiamo storicizzare, dall’altro lato, continua a produrre conseguenze e guasti che sono drammaticamente attuali.

La stagione di Mani pulite aveva illuso una parte consistente di opinione pubblica che fosse in atto una rivoluzione che avrebbe cambiato in meglio il Paese. Sono passati 30 anni ma siamo messi peggio di prima. Dalle macerie della prima Repubblica, dall’eliminazione degli storici partiti politici che avevano fatto la storia del novecento, alla fine, non solo non è nato niente di buono ma la situazione risulta sensibilmente peggiorata. 

Oggi, al netto delle contrapposizioni ideologiche, possiamo tranquillamente affermare che tutte le storture, le degenerazioni, le fragilità del sistema politico e istituzionale della seconda e terza repubblica sono figli di quella drammatica stagione. Trent’anni dopo siamo costretti a fare i conti con il deragliamento dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, in particolare tra politica e Magistratura. E sei lustri dopo ci troviamo al punto che, per poter mettere mano a questo deragliamento, per poter rimettere la Magistratura italiana nel binario delle democrazie liberali, bisogna rivolgersi al popolo utilizzando l’istituto del referendum, perché la politica e il parlamento non sono in grado di dare una risposta.

Era già successo per poter cambiare una legge elettorale agli inizi degli anni 90. Era già successo qualche anno prima, quando sempre un referendum popolare aveva tentato di invertire la rotta del malfunzionamento della giustizia penale sull’onda dell’emotività del caso Tortora. Tra l’altro, oggi la Corte costituzionale non ha ammesso il quesito sulla responsabilità diretta del Magistrato ma, in realtà, lo stesso quesito fu sottoposto già alla valutazione popolare nei referendum dell’87 e il popolo si pronunciò a larghissima maggioranza per la responsabilità del magistrato.

Fu poi il Parlamento a trasformarla in responsabilità indiretta. Quindi, si potrebbe mutuare un vecchio detto popolare con: “Corte che vai, usanza che trovi”, e ciò, con buona pace di Giuliano Amato. Il 1992 fu un anno nefasto per la politica e per le istituzioni italiane. Lo scoppio di tangentopoli produsse un incendio di vasta portata nella infrastruttura democratica nata dal dopo guerra. Un incendio scaturito da una serie di cortocircuiti politici e istituzionali che infiammarono un’opinione pubblica già fiaccata da una crisi economica devastante. Tangentopoli, dunque, agitò un sentimento popolare già esasperato da un sistema politico logoro e orfano della dinamica geopolitica ante crollo muro di Berlino. Il sistema di corruzione dilagante venuto fuori dall’azione giudiziaria di Mani pulite, scatenò gli istinti bestiali della rabbia. Fu un diluvio e, contemporaneamente, un delirio di massa. Istinti che, le rivoluzioni, sia quelle vere che quelle finte, spesso suscitano nelle masse. Il Termidoro insegna.

L’Italia aveva già nel suo Dna un sentimento anti politico che si era manifestato fin dal primo dopo guerra, con “l’uomo qualunque” di Giannini, tuttavia, non era mai degenerato nel giustizialismo più forcaiolo. I partiti di massa e tutti gli altri corpi intermedi seppero organizzare e ben rappresentare per decenni, le istanze che provenivano dalle più svariate categorie sociali. Ma da quel febbraio 1992 fu un diluvio di istinti bestiali, le dighe che avevano tenuto per anni cedettero improvvisamente, anche perché, lo scandalo tangentopoli, incrociò l’emozione vera e sincera determinata dalle stragi Falcone e Borsellino. Uno scenario che trasformò in pochi mesi i Magistrati in veri e propri eroi popolari. In cavalieri senza macchia. E con una certa abilità, la Magistratura, trasformò quello che poteva essere ricondotto ad uno scontro tra poteri, in uno scontro biblico tra il bene e il male. Proprio la vicenda Falcone e Borsellino rivelò la montagna di ipocrisia intorno alla commozione della Magistratura verso il martirio del coraggioso magistrato di Palermo. Prima delle bombe di Capaci, infatti, Falcone fu massacrato dalle feroci critiche dei suoi colleghi magistrati, oltre che dalle calunnie di quella intellighenzia di sinistra che, dopo quelle stragi, si apprestò a sostituire il poster di Che Guevara con quello di Falcone e Borsellino. 

Tuttavia, da quegli eventi straordinari e devastanti, scaturì una sequenza di leggi e normative di emergenza, tutte nate nel contesto di un sistematico indebolimento del sistema dei partiti e sull’onda dell’emozione popolare. Norme liberticide e che oggi andrebbero modificate per la loro palese illiberalità. Ma il colpo mortale e, suicida, la politica, se lo diede con una proposta di legge costituzionale, approvata in via definitiva un anno e mezzo dopo, per abrogare alcuni commi dell’articolo 68 della Costituzione, in materia di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari.

Quella scelta, per la quale la sinistra del PDS ebbe grandi responsabilità e avvenuta sull’onda emotiva di Mani pulite, mise il potere legislativo nelle mani del potere giudiziario. La politica da quel momento si ritrovò con le spalle al muro. Il primato della politica si arrese al sistema giudiziario. Le degenerazioni sono ampiamente descritte da Palamara nel suo libro “Il sistema”. È nel contesto di questo quadro di emergenza che si è fatto strame dello Stato di diritto e della Costituzione. Per tali motivi, quella stagione non può essere circoscritta a un mero problema giudiziario, come alcuni network vicini alle procure vorrebbero far credere. Tangentopoli e Mani pulite, è soprattutto uno scontro tra poteri dello Stato. Uno scontro nel quale da anni, ormai, prevale la magistratura.

Con il paradosso di oggi: il potere dei magistrati è inversamente proporzionale alla loro credibilità. Tra l’altro, è ormai acclarato che se tangentopoli ha determinato le condizioni politiche e sociali di un radicale mutamento degli equilibri di potere, non si può certo affermare che, quella stagione, che ha distrutto i partiti del novecento sulla base di una mastodontica azione giudiziaria, abbia poi avuto un riscontro sul fronte delle sentenze. 

Un dato non lascia adito a contraddittori. Il 54% delle persone indagate nella stagione di tangentopoli sono state prosciolte. Su 4.520 persone finite nelle onnipotenti mani del pool, e su 3.200 rinviati a giudizio, le condanne sono 1.281 (965 per patteggiamento) e 1.111 le assoluzioni e proscioglimenti. Meno della metà dei processati è stata condannata, quasi altrettanto assolta. Significa che più del 50 per cento di quei processi e di quegli arresti (“noi incarceriamo la gente per farla parlare. La scarceriamo dopo che ha parlato”, proclamò Francesco Saverio Borrelli), potevano non essere fatti, o non andavano fatti.

Dopo trent’anni, forse, è arrivato il tempo di tentare di aggiustare le cose, nell’interesse della democrazia. La politica deve recuperare la sua sovranità, ristabilendo confini netti tra potere giudiziario e potere politico. Ci rendiamo conto che esistono seimila ipotesi di reato al di fuori del codice penale, alcune delle quali hanno un perimetro evanescente, come per esempio il traffico di influenze, il concorso esterno, l’abuso d’ufficio e suoi commi? Basta, forse è arrivato il tempo di denunciare e correggere alcune storture evidenti. Ma è arrivato anche il tempo che un pezzo di politica, in particolar modo la sinistra, si ravveda dalle derive giustizialiste che l’hanno caratterizzata in questi anni. E che la stanno caratterizzando, ancora, in queste ore, di fronte alla posizione da prendere sui referendum.

È arrivata l’ora di stabilire che tipo di sinistra si intende affermare. La stagione di tangentopoli e alcune scelte degli eredi del Pci hanno cambiato la storia del progressismo di questo paese. Sarà un caso che siamo l’unica democrazia europea dove non esiste più una forte e radicato Partito socialista? Una realtà che si incrocia con la vicenda di Tangentopoli.  Ma questa è un’altra storia, e ve la racconterò nella prossima riflessione.