Questa guerra quando finirà, speriamo prima possibile, lascerà un solco profondo nella società occidentale. Un solco trasversale dentro e fuori dei partiti e delle organizzazioni sociali e culturali. Un solco che ridisegnerà la scala dei valori della stessa convivenza civile all’interno di gruppi politici che fino a qualche giorno fa condividevano la stessa storia ideale. E tutto ciò sia a destra che a sinistra. Basta vedere il dibattito che si è sviluppato per esempio, tra la sinistra radicale e la sinistra riformista rispetto al sostegno alla “guerra di resistenza” del popolo ucraino.

 Stesso schema all’interno della destra sovranista, una parte di questa apertamente schierata con Putin e che vive quasi come un tradimento la svolta atlantista dei loro leader. Tutto ciò produce il grande paradosso: destra estrema e sinistra radicale convergono nell’analisi e nella contestazione alle scelte della Ue e Nato. 

Altro grande problema: la questione della qualità e della selezione della classe dirigente nella società contemporanea. Una responsabilità che va condivisa equamente tra organizzazioni politiche, corpi intermedi e popolo sovrano. Quello stesso “popolo” che, nelle democrazie liberali, sceglie la classe dirigente da mandare al governo. 

Emergenza sanitaria e guerra serviranno a far comprendere alle nostre società opulente e insoddisfatte dell’occidente che la selezione della classe politica non può essere lasciata agli istinti di pancia? Alle reazioni dettate dagli umori del momento, determinati dalla difficoltà quotidiane? Esattamente ciò che è avvenuto in questi anni alle nostre latitudini, anche se, ad onor del vero, il fenomeno ha interessato tutto il mondo. E, d’altronde, Trump non è forse stato eletto dall’America più profonda e più insoddisfatta? La selezione della classe politica, dunque, imporrebbe la stessa attenzione con la quale ci prendiamo cura dei nostri cari.

La decisione di votare un politico piuttosto che un altro, andrebbe fatta a mente fredda e in maniera ponderata. Esattamente l’opposto della logica seguita dal “popolo sovrano” negli ultimi trent’anni. I popoli sovrani hanno preferito rincorrere e votare personaggi che hanno urlato “vaffanculo”, piuttosto che, uomini preparati e con una visione equilibrata dello sviluppo del paese. Negli ultimi trent’anni si è radicato un sentimento antipolitico distruttivo che ha consegnato la quinta potenza mondiale del pianeta, al populismo e al qualunquismo più brutale, alimentato e sostenuto da un sistema d’informazione altrettanto brutale, che ha dato dignità ad una cultura indegna della percezione della politica.

Una fase lunghissima e che ha spaziato dal berlusconismo antipolitico al qualunquismo civico, dai movimenti protestatari e identitari al populismo fascistoide del sovranismo spinto.  Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Una classe politica di pezza che, di fronte alle grandi emergenze economiche e sociali, è stata costretta ad affidarsi ai grandi tecnocrati del paese. L’ultimo della serie (e per fortuna): Mario Draghi. Diversamente avremmo dovuto dichiarare bancarotta. Una classe dirigente incapace finanche di eleggere un presidente della Repubblica. E, oggi, di fronte ad una grande crisi di proporzioni globali come la guerra in Ucraina, la politica e i politicanti italiani sono scomparsi dai radar della dinamica internazionale.  Sui tavoli internazionali la politica italiana non esiste o peggio, riemerge in tutta la sua plateale mediocrità.

La figura barbina di Salvini in Polonia è stata solo la prova plastica del livello dei leader politici del nostro paese. Tuttavia sarebbe assolutamente ingiusto e riduttivo ricondurre tutto alle scarse capacità del leader leghista.

Il quale, tra l’altro, gradualmente, si sta svuotando elettoralmente insieme ai suoi ex alleati del M5S. Quello che appare curioso, invece, è la solita meraviglia (ipocrita?) di una certa opinione pubblica che, di fronte alle discutibili performance del leader leghista ai confini dell’Ucraina, sembra scoprire l’acqua calda.

Se mandi al potere una classe dirigente mediocre, approssimativa e scarsa, i risultati sono quelli. Assenza di credibilità internazionale e deficit di autorevolezza. “Elementare, Watson!” avrebbe detto l’indimenticabile Sherlock Holmes. Sicuramente il leader della Lega è stato anche vittima di un agguato mediatico. E tuttavia cosa poteva aspettarsi di meglio, un ex ministro degli interni, un aspirante premier di un grande paese europeo, che se ne andava in giro una volta con una maglietta, una volta con una felpa, una volta con una mascherina con sopra impressa la foto di leader politici di altre nazioni, impegnati nelle elezioni politiche nei rispettivi paesi? Mancava solo che andasse in giro con colla e secchio ad attaccare manifesti elettorali.

Tra l’altro, tifoserie legate ai vari Trump, Putin, Bolsonaro, Orban, soggetti che, con la democrazia, hanno sempre dimostrato di avere qualche problema. Avete mai visto cose del genere in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Canada verso leader di altri paesi? Per onestà intellettuale ci sarebbe da dire che un tale atteggiamento provincialotto e subalterno, più da politicante paesano che da aspirante statista è stato condiviso, di volta in volta, da Grillo a Di Maio passando per Di Battista fino alla Meloni. Vogliamo ricordare quando il M5S e Russia Unita (il partito di Putin) si sono dichiarati alleati politici?  Eravamo nel 2017, e si parlava liberamente di affiliazione tra Russia unita e M5S. Oppure per rimanere nel 2017, vogliamo parlare di Matteo Salvini che, seguendo le orme dei pentastellati e dei futuri alleati del governo giallo-verde, a Mosca, il 6 marzo di quell’anno, siglava un accordo di 'partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana' con Sergey Zheleznyak di “Russia Unita”, il partito di Putin.

Provate ad immaginare cosa sarebbe successo oggi, nel pieno di una crisi geopolitica tra le più pesanti dalla fine della seconda guerra mondiale se alla testa del paese ci fossero stati gli esponenti di quel governo giallo-verde del 2018. Tuttavia il pericolo non è definitivamente scampato. Questa classe dirigente nei prossimi mesi (cambiando l’ordine dei fattori, almeno secondo i sondaggi) potrebbe trovarsi nelle condizioni di governare il paese, proprio nel contesto di una grave crisi energetica conseguenza delle sanzioni di guerra. La domanda a questo punto sorge spontanea: saranno adeguati a gestire una crisi geopolitica militare, economica e sociale di questa portata?