Le grandi strategie in vista dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica sono iniziate. La battaglia del Quirinale per la politica italiana è un po’ la madre di tutte le battaglie. È stato sempre così. Fin dall’inizio dell’istituzione della Presidenza della Repubblica. La conduzione della partita è complessa. E, per certi aspetti, è su quel campo che si misura la capacità tattica dei leader politici. Per qualcuno di essi potrebbe rappresentare il battesimo del fuoco. Partiamo subito da un dato storico di fondo: quasi sempre le candidature al Quirinale annunciate con grande anticipo, sono state bruciate.

Nella storia delle elezioni dei presidenti, due uomini politici della prima Repubblica sono stati eternamente candidati ad ogni appuntamento e dati per  favoriti: Amintore Fanfani e Giulio Andreotti. Nessuno dei due è mai arrivato a coronare quel sogno. Nella Prima Repubblica, l'elezione del Capo dello Stato è stata dominata dalle lotte fratricide interne alla Dc e dai rapporti tra il Pci e la famiglia socialista, senza contare i condizionamenti esterni dagli Usa, della massoneria e della Chiesa. Pressioni e veti che provocavano più che l'elezione di un candidato, la sconfitta del prescelto.

Nella Seconda Repubblica, con la fine dei partiti tradizionali, molto è dipeso dall'improvvisazione del momento, fermo restando le influenze esterne. Ma soprattutto ha assunto sempre maggiore rilevanza la variabile impazzita dei franchi tiratori. Da Einaudi a Napolitano bis, ogni bassezza è divenuta possibile: sotterfugi, tradimenti, imboscate e accordi sottobanco. Tutti, leader di partito e candidati, sono venuti a patti, ma a vincere sono stati sempre loro che - come cecchini infallibili - prima concepivano l'imboscata e poi impallinavano il prescelto di turno senza pietà.

Parlamento di disperati

L’appuntamento con l’elezione del Presidente della Repubblica oggi coincide con una sorta di Terza Repubblica, anzi per essere chiari siamo in una terra di mezzo  tra la seconda e la terza, nella quale, non sarà semplice orientarsi. E, l’imbarbarimento della lotta per il Colle potrebbe essere ancora più feroce del passato. Questa volta la politica ha di fronte una sorta di “Parlamento disperato” dominato dal parlamentare a Dna grillino, il quale, si è frammentato e diviso in più rivoli sia evolutivi che involutivi. I due terzi di questo “parlamento disperato” non saranno rieletti. I grandi elettori del prossimo presidente della Repubblica, dunque, sono alla ricerca di chi gli garantisca la sopravvivenza fino all’ultimo giorno di legislatura.

Il gruppo Misto composto da 113 parlamentari è prevalentemente dominato da questa diaspora pentastellata all’ultimo giro di boa. Un area politica dai comportamenti imprevedibili nel segreto dell’urna. Una componente carica di livore e risentimento verso il sistema e, contemporaneamente, terrorizzata dalle elezioni anticipate. Un mix esplosivo che sarà difficile ricondurre ad atteggiamenti politici equilibrati. La confusione è grande.  

La partita di corto respiro del Cavaliere

Il voto sul ddl Zan ha evidenziato tutta la debolezza strategica dell’alleanza definita giallorosa, i quali, rischiano di giocare una partita di rimessa per debolezza tattica e strategica. Il centrodestra, allo stato, parte compatto, soprattutto, perché sta giocando sulle aspirazioni quirinalizie dell’unico presunto federatore della destra italiana: Silvio Berlusconi. Ma anche questa sembra una manovra tattica di corto respiro. Più che un’ipotesi concreta, appare come un’illusione ottica del Cavaliere, utile alla Meloni e Salvini per recuperare un po’ di ossigeno dopo la batosta elettorale.

In sostanza, Matteo Salvini, ma non solo lui, ha fatto intravedere al Cavaliere la possibilità di scorrazzare nel campo del centrosinistra alla ricerca di grandi elettori. Il ragionamento è stato il seguente: “Se il centrodestra è compatto il leader azzurro potrebbe farcela perché i gruppi parlamentari delle sinistre sono slabbrati e pieni di gente che nel segreto dell’urna ha voglia di dispetti”. Intendiamoci, la voglia di “far dispetti” della sinistra è un vecchio vizio, tuttavia, appare difficile che questa voglia possa essere soddisfatta favorendo l’ascesa al Quirinale al nemico di sempre.

Lo stato d’animo di gran parte del popolo della sinistra coincide con quanto poche ore fa ha twittato lo storico giornalista di Repubblica Curzio Maltese : “È incredibile che un uomo che ha rovinato un Paese, che ha sdoganato i fascisti, che ha fatto sempre e solo i suoi interessi sia candidato al Quirinale. Saremmo di nuovo la barzelletta d’Europa, torneremmo un Paese ridicolo”.

Difficile immaginare che Berlusconi possa recuperare consensi in un retroterra strutturalmente e culturalmente antiberlusconiano come questo. Ma dando per buona la probabilità che il vecchio Silvio possa in qualche modo affascinare un pezzo di sinistra parlamentare, potrebbe, altresì, rimanere vittima della maledizione andreottiana. Andreotti aveva nel cassetto un elenco di parlamentari comunisti pronti a votarlo, ma perse l’appoggio della Dc. È il rischio che corre Berlusconi che pur potendo contare su di un eventuale soccorso rosso e giallo, la compattezza del centrodestra, e persino di FI, non è poi così granitica. Il pranzo a villa Grande tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e la delegazione dei ministri di Forza Italia e della Lega, con i quattro capigruppo è il tentativo neppure tanto celato di prevenire agguati fratricidi o parricidi.

Enrico Letta sembra l’unico nel Pd ad aver compreso che in questo momento è più prudente temporeggiare, piuttosto che tentare di puntare su cavalli che sarebbero azzoppati allo start, nella speranza che l’illusione ottica di Berlusconi lasci il campo alla realtà, consentendo così all’anima moderata di Forza Italia di rientrare nel gioco politico per la elezione del Presidente della Repubblica.  Un atteggiamento saggio che però non è detto che si riveli vincente.

Nella confusione gioca Renzi

Senza dimenticare che in questa confusione si potrebbe infilare quello che nei momenti più difficili è sempre riuscito a fare le migliori performance tattiche: Matteo Renzi. In queste partite ha sempre  dato il meglio di sé. Renzi è colui che stato il grande protagonista della elezione dell’attuale Presidente Sergio Mattarella dopo aver fatto fuori cavalli di razza del calibro di D’Alema e Prodi. E’ stato il protagonista dell’ascesa di Draghi a palazzo Chigi. In questa fase non si sbilancia molto, ma continua ad agitarsi. La sua mossa del cavallo potrebbe chiamarsi Pier Ferdinando Casini. E dietro l’angolo potrebbe esserci anche Giuliano Amato. 

Ma la rottura che allo stato sembra insanabile tra Renzi e il Pd dopo il voto sul Ddl Zan, potrebbe complicare i giochi anche ad un outsider come l’ex sindaco di Firenze. Tuttavia, la verità, al momento, è molto più banale di quanto non appaia: in questa legislatura nessuno controlla nessuno. Sicché l’urna potrebbe trasformarsi nel grande festival del franco tiratore. Una situazione che potrebbe trasformarsi in un incubo politico per tutte le forze in campo. I parlamentari a destra, come a sinistra, al centro e tra i grillini o ex, cercano zattere di salvataggio, ed è sempre più difficile trovarne. La coperta è ormai stretta per tutti. Nella prossima legislatura ci saranno 315 parlamentari in meno. Il paradosso: quelli in carica sono gli stessi parlamentari che hanno tagliato il ramo dove si trovavano comodamente seduti.