La candidatura di Maria Antonietta Ventura è saltata. Tutto è avvenuto in poche ore. Il passato dei ruoli ricoperti in una delle più grandi aziende del mezzogiorno ha fatto irruzione nel presente, portandosi via il futuro politico di colei che, ormai, può essere definita, l’ex candidata Pd- M5s alla presidenza della Regione Calabria.

Il frutto del patto Letta/Conte/Boccia/Spadafora non esiste più. Tra l’altro è probabile che non esista più neanche la coalizione Pd-pentastellati, considerato la discussione tra grillini ed ex grillini in corso in queste ore a Roma. La Ventura è stata colpita da un provvedimento interdittivo antimafia. Ma forse potrebbe esserci dell’altro, almeno secondo quanto riportato da un pezzo del quotidiano IlDomani, con una articolo a firma Fierro-Tizian, sul punto ancora le bocche rimangono cucite.

La nostra testata aveva dato la notizia del ritiro in esclusiva nel pomeriggio di ieri. E poco dopo, infatti, è arrivato l’annuncio ufficiale della sua rinuncia. In mattinata, Maria Antonietta Ventura, aveva concesso una intervista esclusiva al nostro Agostino Pantano. Sembrava decisa. Determinata ad andare avanti. Convinta di poter recuperare il dissenso che aveva suscitato nel Pd e, nella galassia del centro sinistra, il metodo che aveva portato alla designazione della sua candidatura.

Nell’intervista emergeva anche la sua completa e radicale estraneità dal mondo della politica e dal blocco progressista che avrebbe dovuto rappresentare.

Diciamola tutta, la manager non aveva un briciolo di visione politica. La debole ricetta proposta per governare la Calabria, in sostanza, si limitava alla solita minestra qualunquista: essere ne’ di destra né di sinistra, aver votato in passato solo valutando gli uomini. Insomma, il solito trito e ritrito mix di qualunquismo individualista, travestito da società civile, tanto caro ai democrat, e che ha distrutto la sinistra italiana. Teoria suicida, tuttavia, abbastanza in voga anche nei pentastellati. Il virus che sta consumando ogni possibilità di ricollocare una nuova visione progressista nella nostra società.Situazione tutta a vantaggio delle destre populiste.

Ancora una volta, dunque, al problema storico dell’identità della sinistra italiana e del Pd in particolare, si aggiunge l’altro eterno problema: l’inadeguatezza dell’attuale classe dirigente nazionale. Il cinismo dilettantistico ha fatto il resto.

Boccia e Letta, sulla vicenda della Calabria, hanno pesanti responsabilità. Il segretario nazionale del Pd e il responsabile degli enti locali, infatti, supportati dall’assistente di campo, Stefano Graziano, dopo aver mortificato ogni forma di democrazia interna, esautorato amministratori, segretari di circolo, federazioni e deciso in maniera verticistica, sono approdati al nulla. Anzi sono finiti sull’orlo del precipizio. 

La nave è finita per schiantarsi sugli scogli. La cronaca di un disastro annunciato, portato avanti con lucida determinazione. Sono stati fatti saltare scientificamente candidati prestigiosi come Nicola Irto e come il prof. Enzo Ciconte. È saltato il tavolo della coalizione che avrebbe potuto individuare un candidato unitario. Sono saltate alleanze sul territorio. Il dissenso che serpeggia nella base ormai è largo e, la sirena de Magistris, giorno dopo giorno, fa proseliti in diversi dirigenti territoriali disorientati e confusi. Sono state impedite le primarie, concesse invece nel resto dei territori dove si va al voto. E adesso non c’è più nemmeno la Ventura.Tra l’altro, allo stato,  non vi è certezza nemmeno di una lista del M5s.

Dopo un disastro del genere  le dimissioni di Boccia e del maneggione politico, a cui è stato affidato il destino della sinistra calabrese, Stefano Graziano sarebbero doverose! E, parliamoci chiaro, lo stesso Enrico Letta, come minimo, dovrebbe chiedere scusa. E, invece, ancora si continua a ciurlare nel manico.

Come è stato possibile buttare nell’arena la candidatura a presidente della Regione Calabria della signora Ventura, senza un minimo di verifica preventiva? Possibile che, un ex ministro e  un ex presidente del consiglio, non siano riusciti a fare un minimo di verifica sulla candidatura proposta? La domanda vale anche per gli altri due padrini politici della candidata, i pentastellati, Conte e Spadafora, ex presidente del consiglio ed ex ministro anch’essi e per lo stesso ministro in carica Speranza. Possibile che nessuno di loro sia stato in grado di chiamare un usciere al ministero degli interni e avere un briciolo di informazione su le imprese del Gruppo Ventura? È lecito sospettare che ci troviamo di fronte a dei cinici dilettanti allo sbaraglio, oppure dobbiamo ritenere che c’è dell’altro?

In queste ore ci saremmo aspettati una robusta presa di posizione di Enrico Letta. Una iniziativa tesa a correggere gli errori di Boccia e Graziano. E, invece, niente. Le notizie che arrivano dal Nazareno sono tutt’altro che incoraggianti, si continua a ciurlare nel manico alla grande

Si continua a parlare di coalizioni, di alleanze, facendo finta di ignorare il fatto che, a breve, non ci sarà nessuno neanche per spegnere l’interruttore della luce della sede calabrese del Pd. Siamo veramente al delirio. Oppure  dobbiamo ritenere che qualcuno a Roma cominci ad intravedere la per le elezioni regionali la soluzione già sperimentata a Crotone?

Un autorevole fonte del Pd, parla di un patto informale con Anna Falcone, colei che de Magistris ha indicato come vice Presidente in caso di vittoria. Sembra infatti che Boccia e Letta sarebbero orientati a non presentare la lista del Pd alle regionali in Calabria, e dare sostegno alla lista della Falcone e, successivamente, affidargli il Pd.  Pettegolezzi? Retroscena? Di fronte a questi strateghi, il povero Niccolò Machiavelli si starà contorcendo nella tomba. Certo è che, il Pd negli ultimi anni ci ha abituato a vederne di tutti i colori, lecito immaginare che l’indiscrezione potrebbe essere tutt’altro che una fantasia. 

Pochi giorni fa, dalle colonne di questa testata, avevamo invitato, gli amministratori, i gruppi dirigenti calabresi di ogni schieramento a ribellarsi alle scelte verticistiche romane, opponendosi alle sperimentazioni in vitro di coloro che, di questa regione, se ne sono sempre fregati. Chiedevamo ad una generazione di quadri intermedi di resistere alle oligarchie capitoline che pretendono di decidere il destino politico di questa terra,  in funzione della tutela di correnti nazionali di partito e non solo.

Eravamo e siamo consapevoli che, molto probabilmente, ancora non ci sono le condizioni politiche di una ribellione bipartisan, forse considerata troppo utopistica, anche se, i messaggi di approvazione che abbiamo ricevuto sono stati davvero tanti. Tuttavia manca ancora il coraggio necessario per rompere gli argini e i recinti politici. A sinistra, oggi, ci sarebbero tutte le condizioni per ribellarsi alle scellerate decisioni dei Letta, dei Boccia e di coloro che pretendono di mantenere i loro equilibri di potere interni, sulla testa di tanti militanti e amministratori onesti di quel partito e, da loro, considerati solo portatori d’acqua al mulino dei maneggioni romani loro alleati. Ai sindaci, ai tanti dirigenti locali, fatti di professionisti, di semplici militanti, infatti, quasi sempre, vengono preferiti ambiziosi e spregiudicati  personaggi, i quali si spacciano per grandi politici, nei miserabili circoli e salotti romani, delle altrettanto mediocri e miserabili élite, in salsa democrat contemporanea. 

Letta e Boccia dovrebbero dimettersi dopo il pasticcio pesante che hanno combinato. Ma non lo faranno. Sono assolutamente privi dello spessore necessario e dell’onestà intellettuale per arrivare a tanto. Riconoscere gli errori, infatti, è roba di classi dirigenti di altro spessore, di altro profilo politico. Di classi dirigenti che hanno credibilità. Quando Claudio Petruccioli dirigente del PCI e direttore de L’Unità, fece la gaffe di pubblicare un falso scoop sul rapimento Cirillo, il giorno dopo si dimise, subito sostituito da un grande Emanuele Macaluso. Altra tempra. Altra storia.

Boccia e Letta,invece, sono pronti a preparare la loro nuova marmellata tossica. Evidentemente, la previsione che ci fece qualche mese fa, un autorevole dirigente della sinistra napoletana si sta avverando: la Calabria è stata scambiata con Napoli.

L’unica strada per ribaltare questo scenario, dunque, è quella della ribellione del territorio. Con coraggio. Mettendo da parte gli opportunismi individuali. Ciò vale innanzitutto per parlamentari e consiglieri regionali. Sarebbe necessario, chiedere la convocazione delle primarie e convocare gli stati generali della sinistra. Aprirsi al dialogo con tutte le aree politiche sul campo, anche quelle che al momento sono collocate con de Magistris. Provare a mettere da parte i piccoli interessi di bottega, quelli delle correnti, delle aree, delle piccole e grandi ambizioni personali, e cercare di mettere in campo un nuovo progetto politico.

Basta rinvii. I democrat che ancora credono in questo partito, debbono pretendere con forza di un congresso. Ora. Da qui alle elezioni mancano quattro mesi, c’è il tempo per farlo. Anche al costo di autoconvocarsi. Se le forze del territorio avranno la capacità di darsi una struttura, istituendo un tavoloche apra un dialogo con le forze progressiste in campo, con l’obiettivo di trovare il bandolo della matassa, forse non tutto è perduto. Se i militanti, i dirigenti e gli amministratori democratici non considereranno l’ipotesi che bisognerà assediare Roma e riprendersi la propria potestà politica sul territorio, liberandosi di Boccia e del mastino napoletano al quale hanno delegato la gestione del Pd e che è stato il demolitore di ogni tavolo unitario non si arriverà da nessuna parte. Bisogna tentare di cambiare il corso della dinamica politica in atto. Ciò significherà soprattutto non rassegnarsi  a dare la vittoria a tavolino al centrodestra. Quel centrodestra immutabile che governa da sempre.

Se il Pd, il M5s e tutto il centrosinistra calabrese, compreso de Magistris e i suoi alleati, non saranno in grado di fare ciò, allora significa una sola cosa: non sono degni di rappresentare la Calabria.