A leggere un’intervista del commissario regionale del PD calabrese sembrerebbe che il PD in Calabria abbia vinto. I toni di Graziano sono al limite del trionfalismo mentre annuncia l’apertura della fase congressuale e del tesseramento. E ciò ad un mese del risultato elettorale e senza ancora un briciolo di analisi politica sul dato, sugli errori di gestione politica di due competizioni e soprattutto senza una visione per il futuro.  Proviamo a mettere in sequenza i grandi “successi”, si fa per dire,  della gestione commissariale di Stefano Graziano, inviato in Calabria da Zingaretti e Oddati e, prorogato da Letta e Boccia, dopo la fuga del governatore del Lazio dalla guida del PD. Nel 2019 l’esperienza di governo di Mario Oliverio è stata liquidata dal PD, utilizzando il furore giustizialista e populista a seguito di inchieste eclatanti poi sconfessate clamorosamente. I democrat non hanno speso una parola in difesa e in solidarietà all’ex governatore democrat ingiustamente inquisito e destinatario anche di una misura cautelare che, la Cassazione, ha definito il frutto di un “pregiudizio giudiziario”.

L’esperienza politica di Oliverio venne liquidata con la candidatura del controverso imprenditore Pippo Callipo che produsse una lacerazione identitaria non di poco conto sul piano politico nella base elettorale della sinistra calabrese. La sconfitta fu rovinosa. Iole Santelli, che pur non era considerata un outsider del centrodestra, travolse elettoralmente l’imprenditore del tonno e la sua ambiguità politica. Nella precedente competizione, infatti, Callipo sostenne la candidata del centrodestra Wanda Ferro che fu sconfitta da Oliverio.  La sconfitta dell’imprenditore vibonese nel PD passò in galleria, nessuna autocritica da parte del commissario regionale, nessuna riflessione collettiva sui motivi di quella sconfitta, nessuna conseguenza sugli assetti del partito, neanche successivamente, quando repentinamente e senza spiegazioni, Callipo decise di dimettersi dal consiglio regionale. Graziano si fece scorrere tutto addosso e rimase al suo posto. Il lockdown fece il resto.

I pasticci del PD di Graziano

I pasticci del PD di Graziano al turno delle elezioni amministrative di settembre del 2020 aumentarono. Il  PD perse San Giovanni in Fiore, simbolo della sinistra silana. Il capolavoro assoluto però, si registrò a Crotone, definita ai tempi del PCI, la Stalingrado del Sud. Il PD, per la prima volta nella sua storia, non riuscì a presentare nemmeno la lista. Nella città pitagorica alla fine la spuntò al secondo turno un candidato a sindaco che correva sotto le insegne del movimento civico di Carlo Tansi. Alla sconfitta alle regionali si aggiunse quella dei comuni. Eppure, il commissario campano, non mollò. Anche per quella disfatta non ci fu nessuna conseguenza politica. Il resto è storia nota. La maldestra gestione delle elezioni regionali ha prodotto l’ulteriore sconfitta di qualche giorno fa.  Una débâcle peggiore della precedente. Senza dimenticare il tavolo del centrosinistra distrutto dalla catastrofica gestione di Graziano. E ancora. Il trattamento riservato a Nicola Irto, l’invenzione della candidatura della Ventura, le modalità dell’individuazione della candidatura di Amalia Bruni, la frammentazione delle forze politiche alternative alla destra, sono stati i capolavori confezionati dal commissario democrat con il supporto di Francesco Boccia. 

Ci vuole talento per perdere così

La gestione sconclusionata della Regione da parte del leghista, il presidente FF Nino Spirlì, avrebbe dovuto portare vantaggio alla principale forza di opposizione. E invece niente. Paradossalmente gli errori di Spirlì hanno danneggiato il Carroccio ma senza favorire il PD. Ci vuole talento per perdere così. Il pessimo risultato elettorale dei democrat risulta abbastanza eloquente: alla competizione del gennaio 2020, i democrat portarono a casa 5 consiglieri regionali con la lista ufficiale e due con la lista dei Democratici e Progressisti, nelle elezioni del 3 e 4 ottobre invece, le liste della coalizione della Bruni costruite dai democrat, non hanno raggiunto il quorum e, dunque, sono rimaste fuori dal consiglio regionale. Risultato: il PD di fatto ha perso due seggi. Un altro capolavoro della “raffinata strategia” del commissario regionale, il quale, aveva preferito tagliare fuori candidati forti come Enzo Bruno e Francesco Pitaro, con l’obiettivo di potenziare esclusivamente la lista del PD, sperando in un buon risultato da utilizzare come contrappeso al disastro annunciato delle elezioni regionali. Obiettivo clamorosamente fallito. Alla fine neanche Amalia Bruni  si è fatta conquistare dal PD, preferendo iscriversi al gruppo misto del consiglio regionale.

Il silenzio di alcuni dirigenti PD

Alla luce di tutto ciò, fa veramente sorridere l’affermazione del commissario democrat: «Il mio obiettivo, fin dal primo istante, è stato quello di lasciare ai calabresi un partito rinnovato, trasparente e credibile, dunque, molto diverso da come l’ho trovato». Non è dato sapere da quale angolazione Graziano osservi il partito che ha gestito fino ad oggi, a noi, almeno dal nostro punto di osservazione, ci sembra di intravedere solo macerie. Ma per carità, può darsi che ci sbagliamo. Ci verrebbe da dire: quale partito? Quale rinnovamento?  Da Cosenza, dove indiscutibilmente ha vinto un pezzo di PD, che non ha propriamente il volto del rinnovamento, smentiscono la rappresentazione del partito che il commissario tenta di accreditare in queste ore. La deputata Enza Bruno Bossio, che porta in dote la vittoria al comune di Cosenza, infatti, rivendica orgogliosamente la continuità della politica contro le sirene del populismo rincorse da Graziano. A questo punto sarebbe opportuno conoscere il punto di vista e la posizione di alcuni dirigenti che hanno l’ambizione di candidarsi alla guida del PD, uno fra tutti, Sebi Romeo ma, non solo lui. Sarebbe giusto, infatti, conoscere il grado di condivisione delle scelte del commissario regionale da parte di alcuni dirigenti stranamente silenziosi. 

Gli interrogativi a cui dovrebbero rispondere questi dirigenti sono diversi. Ne poniamo alcuni schematicamente. Come intendono ricostruire questo partito? In continuità con l’azione di Graziano, i cui risultati sono evidenti, oppure in radicale discontinuità? Le risposte sono doverose verso elettori e militanti, anche perché, il silenzio di questi mesi potrebbe essere confuso per complicità. Non si può scegliere la classe dirigente del futuro senza conoscere il grado di responsabilità che quella stessa classe dirigente ha con le scelte attuate fino ad ora. E’ necessario che coloro che si candidano alla guida dei democrat calabresi, dunque, presentino piattaforme programmatiche chiare e costruite su limpide analisi critiche rispetto a ciò che si è verificato da un lato e, dall’altro lato, da una netta indicazione sul percorso di ricostruzione di una sinistra calabrese credibile per il futuro. Nodi abbastanza complessi da sciogliere. Basterà l’assemblea dell’8 novembre annunciata dal commissario regionale per affrontare una discussione franca e approfondita prima di procedere alla solita conta tra iscritti per eleggere questo o quel candidato alla segreteria regionale dei democrat? Forse no.

E, tuttavia, non ci sarà nessuno futuro se questo partito non trova la volontà di sciogliere le ambiguità storiche che si porta dietro in questa regione e, possibilmente, senza ricorrere alle solite scorciatoie plebiscitarie. L’altra strada, invece, è quella di sempre:  proseguire con il solito malcostume del compromesso interno tra gruppi e correnti, locali e nazionali. Se prevarrà quest’ultima ipotesi, la deriva è abbastanza prevedibile: il commissario regionale del PD calabrese potrebbe essere premiato con una bella candidatura alla Camera o al Senato in vista delle prossime elezioni politiche, obiettivo, per il quale ha sempre lavorato. L’orizzonte della ricostruzione di una sinistra riformista, vincente e di governo, invece, tramonterebbe definitivamente.