La mia generazione può essere definita una generazione di transizione, in quanto ha assistito al passaggio di alcune epoche. Tra quelle più esaltanti ha assistito all’accelerazione dell’innovazione tecnologica e alla velocizzazione del progresso scientifico. La fine dell’epopea del 68. La fine del terrorismo di matrice politica. La caduta del muro e la fine delle ideologie. Abbiamo fatto in tempo a vedere con i nostri occhi i danni di alcune malattie terribili sconfitte dall’avvento dei vaccini.

Ricordo, agli inizi degli anni 70, alle elementari, alcuni miei compagni di classe che portavano i segni della poliomielite. In Italia nel 1958 furono notificati oltre 8.000 casi e la malattia continuò a colpire fino almeno alla metà degli anni 60. Ricordo sempre alle scuole elementari quando il maestro ci accompagnò per la vaccinazione anti vaiolo (obbligatoria) che si effettuava nel municipio.

I miei genitori e i miei nonni, contadini e operai, con bassa scolarizzazione, guardavano all’evoluzione della medicina con entusiasmo. Mio nonno era del 1907, era stato colpito dalla spagnola e si considerava un sopravvissuto. Ricordo, come in un sogno, la concitazione di mio padre, operaio con la prima media, quando ha assistito in tv al primo trapianto di cuore eseguito dal prof. Christiaan Barnard, il 3 dicembre del 1967, a Città del Capo. E, ancora, rimbomba nelle mie orecchie, la voce di Tito Stagno che in diretta televisiva annunciava l’allunaggio il 20 luglio 1969.

Oggi ci tocca assistere increduli alle idee no vax e al rigurgito antiscientifico che ogni fine settimana va in scena in alcune piazze che con l’alibi della presunta libertà di manifestare il dissenso delle minoranze sta condizionando la stagione della pandemia da CoViD-19.

A quasi due anni dall'inizio della pandemia c'è ancora chi sostiene l’inesistenza della malattia, l’inutilità o la pericolosità delle vaccinazioni o del ricorso ai farmaci, mettendo a rischio la propria vita e quella degli altri. E, purtroppo, c’è una parte di politica che per bieco opportunismo elettorale dà ampio spazio alle castronerie declinate da un branco di ignoranti che vorrebbero imporre il proprio diritto ad infettarsi a quello maggioranza dei cittadini, i quali, invece si sono vaccinati per senso di responsabilità verso se stessi e per rispetto verso gli altri.

Oltre 7 milioni di italiani ancora non hanno fatto nemmeno la prima dose. Tra questi sette milioni di cittadini c’è una consistente fetta di persone della mia generazione, i cinquantenni. Quella generazione cioè, che avrebbe dovuto trarre una grande lezione di vita dei grandi passi di gigante del progresso della medicina e della ricerca scientifica vissuti proprio negli anni della nostra giovinezza. E invece niente.

La cosa che più fa impressione tra le argomentazioni dei no vax, è quello di negare fatti indiscutibili. Alcuni è probabile che siano in buona fede, altri invece, tentano di soffiare sul fuoco del disagio e dell’ignoranza, per interessi oscuri abbastanza evidenti. I più intollerabili sono i cosiddetti no vax scolarizzati: professori, professionisti, qualche medico, impegnati a sostenere stupidaggini stratosferiche.

E, tuttavia, non si può accettare che si sostengano e si diffondono delle assolute menzogne senza reagire adeguatamente. L’ultima baggianata? Quella  di sostenere che ci troviamo di fronte ad una “epidemia dei vaccinati”. Falso.

I dati sul contagio

Ragioniamo sui dati forniti dall’Istituto superiore di sanità. Una persona completamente vaccinata over 40 ha in media circa il 76 per cento in meno di possibilità di avere una diagnosi positiva di Covid. Se vogliamo riscontare i dati del’Iss passiamo ai dati di Gimbe. Per milione di abitanti, nella fascia d’età 50-59 anni, sono 1.067 le diagnosi di Covid tra i vaccinati e 3.981 quelle tra i non vaccinati. Tra gli over 80 sono 1.084 le diagnosi tra i vaccinati e 4.472 quelle tra i non vaccinati, cioè quattro volte in più.

Passiamo ora alle ospedalizzazioni. Nella fascia 40-59 anni i vaccinati hanno il 95 per cento in meno di possibilità di essere ricoverati e il 96 per cento in meno di finire in terapia intensiva rispetto ai non vaccinati. Per la fascia 60-79 anni si ha il 92 per cento di possibilità in meno dei vaccinati di finire in ospedale e il 95 per cento in meno di essere ricoverati in terapia intensiva rispetto ai non vaccinati.

E per gli over 80, quelli più a rischio, un vaccinato ha l’87 per cento di possibilità in meno di essere ospedalizzato o ricoverato in terapia intensiva rispetto a un non vaccinato. Prendiamo in esame le tabelle elaborate dalla Fondazione Gimbe. Per la fascia d’età più a rischio, gli over 80, sono 234 su un milione di abitanti gli ospedalizzati tra i vaccinati e 1.590 tra i non vaccinati; 10 quelli ricoverati nelle terapie intensive tra i vaccinati e 68 tra i non vaccinati.

Il giornalismo che scimmiotta i no vax

Se questi sono i dati, e lo sono, parlare di una “epidemia dei vaccinati” come ha sostenuto Maurizio Belpietro, è una macroscopica balla! E per un giornale che si chiama “La Verità” è anche un ossimoro. Diciamoci la verità fino in fondo: in questa guerra contro la pandemia, la classe dirigente delle democrazie liberali, nel nome di un’astratta teoria secondo la quale bisogna dare il diritto di parola anche agli idioti, non stanno dando il meglio di sé.

In Italia stiamo assistendo a derive vergognose in tal senso da parte di leader politici, giornalisti, filosofi e qualche medico, i quali, invece di dare l’esempio hanno preferito contribuire ad alimentare la confusione. Salvini e la Meloni sono stati due campioni di ipocrisia e ambiguità, continuando a scimmiottare posizioni altalenanti sia sul fronte dei vaccini che del greenpass.

Ma anche trasmissioni giornalistiche come Report di Ranucci hanno contribuito ad alimentare un clima di diffidenza verso le scelte della comunità scientifica, a partire dall’inoculazione della terza dose. Una scelta che, la redazione di Report ha giustificato con la solita formula del diritto all’informazione. 

Salvini e Meloni ambigui sui vaccini

L’ambiguità politica delle destre populiste e sovraniste di casa nostra hanno provato a stanarla i colleghi del Foglio e il suo direttore Claudio Cerasa, i quali hanno rivolto un appello ai leader politici, considerata la fase pandemica in cui si trova l’Italia, considerato il traguardo del 90 per cento di vaccinati con prima dose non così lontano e considerata la recrudescenza della pandemia in alcuni paesi importanti dell’Europa, come la Germania.

I politici sono stati invitati a sottoscrivere una frase semplice e lineare: «Invitiamo ogni cittadino a vaccinarsi senza esitazioni: solo così si supera la pandemia». Matteo Salvini ha ritenuto di non rispondere, a differenza invece del suo collega di partito Attilio Fontana, governatore della Lombardia, il quale ha affermato: «Sottoscrivo questa frase che ripeto in continuazione».

La Meloni ha preferito continuare a ciurlare nel manico abbozzando un nì. «Invito tutti i cittadini in età matura e le categorie a rischio a vaccinarsi contro il Covid perché il vaccino protegge dalla malattia ed è estremamente utile a chi è più esposto. Allo stesso tempo –ha proseguito la leader di FdI allungando il brodo-  chiedo al governo quella trasparenza e chiarezza finora mancate sui vaccini e a non spingere sulla vaccinazione ai minori, fin quando la comunità scientifica non ne avrà assicurato in modo unanime e definitivo la mancanza di ogni grave effetto avverso, anche a lungo termine. Chiedo inoltre al governo di concentrarsi sulle questioni che finora ha incredibilmente ignorato, come il potenziamento dei mezzi pubblici, l’aerazione meccanica controllata e la ricerca sulle cure per il Covid».

Affermazioni che, anche in relazione ai minori, sono prive di supporto scientifico. La domanda che sorge naturale è la seguente: se la Meloni fosse stata il presidente del Consiglio al posto di Draghi, considerato le ambigue banalità che sostiene, che fine avrebbe fatto l’Italia? Un interrogativo che può essere considerato valido anche per Matteo Salvini, seppur con sfumature diverse.

La destra italiana scavalca Orban

Si tenga presente che Orban, riferimento europeo della destra populista e del sovranismo italiano ha fatto meglio dei nostri eroi in queste ore. Il leader magiaro, infatti, si è rivolto ai suoi concittadini esortandoli a vaccinarsi: «Esorto tutti a vaccinarsi, perché nessuna misura di protezione è sufficiente, solo il vaccino serve. Le altre misure rallentano la diffusione del virus, ma non ci proteggono. Non dobbiamo credere alle illusioni».

Forse è arrivato il momento che, civilmente, ma con fermezza si apra una riflessione collettiva sul concetto della democrazia e del pluralismo in relazione agli argomenti relativi la lotta contro il Covid. Per quale motivo (bisognerebbe chiederlo agli “eroi del giornalismo libero alla Giletti”) e in base a quale principio di libertà si dovrebbe dare spazio ad una posizione demenziale come quella della parlamentare europea Francesca Donato che ha lasciato il gruppo della Lega in dissenso nei confronti della posizione sui vaccini e in particolare sull'utilizzo del certificato verde?

È lecito che una ignorante si metta a disquisire o contestare in tv, virologi che parlano, invece, con cognizioni scientifiche alla mano? Eppure per l’ex leghista, pare che si stiano aprendo le porte del partito della Meloni (a proposito di ambiguità della Giorgia nazionale) ora che anche per il gruppo della Lega è diventata insostenibile la sua posizione.

Sono tante le contraddizioni di quest’epoca e di questa fase. E, tuttavia, il problema della destra italiana, portatrice di queste posizioni, rappresenta un serio gap per il futuro di un paese che vuole mantenere standard europei e non scavalcare Orban a destra sul fronte del sovranismo oscurantista e antiscientifico.