Siamo in guerra e le sanzioni imposte alla Russia di Putin avranno comunque riflessi pesanti sulla nostra economia e sulla struttura sociale del nostro paese. Veniamo fuori da decenni di ottusità economica e, soprattutto, di disastrose politiche energetiche anch’esse orientate da politiche di pancia e assolutamente irrazionali.

Ha ragione Draghi quando l’altro giorno in parlamento ha ricordato che, negli ultimi anni, abbiamo aumentato la dipendenza dalla Russia nonostante l'occupazione della Crimea. Il parlamento applaude ma il messaggio del premier è stato chiaro. I responsabili di queste politiche sono tutti seduti nell’emiciclo di Montecitorio e di palazzo Madama. L’occupazione della Crimea è del 2014. Tuttavia nei prossimi mesi oltre alla crisi energetica, al prezzo del carburante dobbiamo prepararci ad altre emergenze da gestire. Crisi che avranno bisogno di decisioni ferme. Altro che polemichette inutili come quella legate al catasto.

Una delle prossime emergenze per esempio sarà il prezzo è l’approvvigionamento del grano. Sia Russia che Ucraina sono tra i principali produttori. Se questa situazione non si risolve in fretta, il raccolto estivo potrebbe non arrivare sui mercati. L’Egitto assorbe il 31%, il Bangladesh il 6.4 e la Nigeria il 5. Questo significa che questi paesi sono profondamente dipendenti dal grano russo (e in misura minore da quello Ucraino). Molti i paesi del Nord-Africa dunque.

Noi italiani lo pagheremo di più importandolo da Usa e Canada ma la realtà è semplice: anche a prezzi più alti, non ce n'è abbastanza. E un problema simile c'è sui fertilizzanti. La Russia e l’Ucraina forniscono circa l'80% dell'olio di semi (che seppur non è utilizzato molto i in Italia, nei paesi del Sud sì). La guerra in Ucraina, e le sanzioni in Russia, depriveranno il mercato di una fetta sostanziale della produzione di cibo. Per noi sarà problematico, per i paesi dell'area mediterranea, dell'Africa e del subcontinente indiano sarà un dramma. Ciò avrà notevoli ripercussioni anche politiche. La Primavera araba cominciò per il prezzo del pane.

Alla luce di ciò bisognerà prepararsi a nuove ondate migratorie e a tensioni forti proprio vicino a casa nostra (se non nei nostri di paesi). Bisogna augurarsi due cose: 1) che l'impulso umanitario verso l'Ucraina si estenda alle realtà dei paesi del mediterraneo dell’Africa settentrionale; 2) che si predisponga un piano per fronteggiare le potenziali scarsità di cibo nei paesi poveri.

Un atteggiamento egoistico in questo caso, potrebbe costarci carissimo, oltre a costare carissimo ai paesi dell’area del mediterraneo. Si potrà sbraitare quanto si vuole di chiudere i porti di fronte ad una carestia continentale di proporzioni inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Difficile essere ottimisti di fronte alla possibilità di un’emergenza sociale di queste dimensioni. Purtroppo in tempi brevi non esiste la possibilità di soppiantare il 30% della produzione mondiale di granaglie. Forse, così come abbiamo fatto egoisticamente con il petrolio non ponendo sanzioni, bisognerà pensare a un piano alternativo per il cibo.

Oggi è praticamente impossibile, lavorando con la Russia (e paesi limitrofi) finanziare un cargo, perché le banche non emettono lettere di credito se sentono puzza di sanzioni. Anche se non si lavora con un sanctioned party. Si potrebbe prepagare, ma anche questa soluzione non è semplice. E se le sanzioni verranno incrementate, sarà anche peggio. Sia chiaro, le sanzioni sono giuste, ma bisogna pensare a un modo per ammortizzarne gli effetti, specie verso i paesi più poveri. Qua non si parla di pieno di benzina rincarato, si parla di fame.

Questo purtroppo è ciò che potrà produrre l'andamento del prezzo del grano. Andrà molto peggio, prima di andare meglio. Viene da chiedersi: nel frattempo, quanto può reggere la Russia senza commerciare con buona parte del mondo? E il grano non venduto oggi che fine farà? Difficile immaginare che lo lasceranno nei campi a marcire, più facile che venga accumulato per essere venduto non appena possibile. E tuttavia è difficile prevederlo oggi. Dipende da quanto durerà la crisi innescata dalla guerra. Ma non è solo il grano a dover preoccupare il sonno dei paesi europei e, quindi, anche l’Italia.

Dopo il grano, il nickel

La Russia è, tra le altre cose, uno dei maggiori produttori di nickel. Il prezzo sta semplicemente impazzendo. Le ragioni di questo andamento sono probabilmente in massima parte speculative. L'incremento dei prezzi è probabilmente in parte ingiustificato. Ma dimostra un punto più ampio: le aspettative sono di incremento comunque: se il conflitto non si risolve, la Russia difficilmente potrà continuare ad esportare a quei livelli.

E probabilmente la produzione Russa collasserà, visto che (e questo è un altro dei vari fallimenti di Putin) l'industria estrattiva necessita di know-how e macchine occidentali. Non solo: la Russia potrebbe certo vendere alla Cina, ma la Cina non è un ente di beneficienza, e farà pesare il potere contrattuale. Inoltre se la storia insegna, una volta che la capacità estrattiva è ridotta, ci vuole tempo e risorse per riportarla in linea: il Venezuela ad esempio ha risorse di petrolio ampie, ma produce, oggi, molto poco, altro esempio di cosa fa un regime autocratico e cleptocratico come quello russo o venezuelano. Perché il regime russo è in sostanza questo: un'associazione a delinquere finalizzata al furto delle risorse della propria popolazione.

E ora veniamo a noi. Che significa un aumento del prezzo del nickel? Significa ulteriore pressione inflattiva visto che il Nickel ha svariati usi industriali, dalla produzione di acciaio a quella di batterie etc. Non è da escludersi, per esempio, che l'elettrificazione delle auto non avverrà secondo l’agenda produttiva immaginata fino a qualche mese fa. Tuttavia, bisogna dire che le sanzioni stanno funzionando fin troppo bene, ma è altrettanto giusto dire che i costi peseranno su tutti. Infine, una constatazione: il mondo è un sistema complesso, e spesso la narrazione populistica o sovranista fa finta di non saperlo.

L’altro giorno una notizia importante, il ministro Cingolani ha annunciato che entro 30 mesi l’Italia sarà totalmente indipendente da gas russo grazie ad impianti nuovi, rigassificazione e contratti a lungo termine. Solo che 30 mesi sono lunghi da passare.