La crisi del centrodestra è più politica che elettorale ed è di tipo nazionale. Nel capoluogo calabrese però, hanno pesato anche gli errori dei dirigenti territoriali. Il coordinatore degli azzurri, Mangialavori e la coordinatrice del partito della Meloni, Ferro, hanno compiuto una serie di scelte maldestre da sembrare dilettanti allo sbaraglio. Perché? (ASCOLTA L'AUDIO)
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Bancarotta della partecipazione. Partiamo da un dato. L’affluenza al voto. Nel test amministrativo ha votato solo il 42%. Il calo si registra su scala nazionale. In Calabria ormai la disaffezione è una costante. Le rappresentanze delle maggiori istituzioni della regione sono espressione della maggioranza di una minoranza, ergo, a partire dal presidente della Giunta, fino al sindaco del capoluogo di regione, sono espressione di aree e blocchi sociali minoritari. Elezioni legittime, certamente, ma sostanzialmente prive di un’autorevole investitura popolare.
I partiti fanno finta di preoccuparsi, ma poi non fanno niente per recuperare questo pericoloso gap democratico. Un ceto politico serio dovrebbe pensarci giorno e notte. Il rischio è che un giorno, il classico “uomo forte” (che sugli italiani suscita un certo appeal) supportato da un’abile operazione di comunicazione politica, venga a bussare alla nostra porta e, invece di un leader democraticamente eletto, ci ritroveremo un’autocrate della stessa risma russa o turca o se non addirittura una componente politica sostenuta da campagne di potenze straniere. E ciò, con buona pace delle democrazie liberali. E, d’altronde, la rabbia e la confusione, è tale, che, nel nostro paese, in 10 anni, un movimento nato su di un manifesto politico costruito su un “vaffa”, è riuscito ad arrivare al 34% e a tenere in scacco il paese.
Le elezioni a Catanzaro
Di fronte a questa paurosa bancarotta della fiducia della gente nella partecipazione alla vita delle istituzioni, bisognerebbe andare cauti con le esaltazioni e con letture eccessivamente “rivoluzionarie” del voto. Leggendo alcuni commenti di eminenti colleghi di testate concorrenti sul voto di Catanzaro stamattina mi sono imbattuto in una di queste “allegre analisi”, forse determinate dalla febbre di chi la spara più grossa per farsi notare dal vincitore (in Calabria è una pratica estremamente diffusa). L’acuto analista ha osservato che a Catanzaro, i cittadini catanzaresi con questo voto, “avrebbero firmato la lettera di licenziamento per un bel manipolo di presunti politici esperti, di grandi portatori di voti, di allestitori di liste”.
Non so quale film abbia visto l’eminente collega, ma credo che a Catanzaro si sia verificato esattamente l’opposto. Le liste, i grandi elettori, i personaggi che in questi anni in qualche modo hanno dettato l’agenda politica-amministrativa della città, nonostante accusati di essere degli analfabeti, di non essere adeguati ecc. ecc. hanno messo al sicuro il loro bottino già al primo turno. Fiorita è certamente una novità politica, ma con questo spaccato dovrà fare i conti. Non credo sarà difficile, la coerenza di molti di questi eletti lascia molto a desiderare, e molti di loro, hanno già cambiato casacca numerose volte, è certo che non faranno mancare il loro contributo al neo sindaco. Nessuno però si azzardi a sostenere che siano stati liquidati. Sono vivi e “lottano insieme a noi”.
Il disastro di FI e FdI
Premesso ciò, torniamo ai dati e alla politica alle nostre latitudini, al netto della retorica politica ed editoriale. Sono in molti a chiedersi a Catanzaro chi abbia vinto e chi abbia perso in questa tornata amministrativa e, a parte i due contendenti sul campo, dei quali uno ha perso catastroficamente e, l’altro, ha vinto clamorosamente, ci sono, effettivamente, altri sconfitti, in considerazione del fatto che, si sono incrociate più partite politiche, e tutte altrettanto complesse.
Una di queste partite, indubbiamente, è l’appuntamento con le elezioni politiche della primavera del 2023. A Catanzaro, innanzitutto, è collassato il centrodestra. Un collasso in parte riconducibile allo scontro nazionale tra il partito della Meloni, la Lega e Forza Italia da un lato, ma in alcuni casi, è anche la conseguenza di inadeguate direzioni politiche sul territorio. Gli errori più marchiani sono stati commessi da Forza Italia e da Fratelli d’Italia. La Lega di Filippo Mancuso, invece, non è mai stata in partita. FdI e FI, in Calabria coincidono con due nomi di peso: Wanda Ferro, longa manus della Meloni e Giuseppe Mangialavori espressione diretta della potente senatrice azzurra Licia Ronzulli che si muove in asse con il presidente della Regione, Roberto Occhiuto. Mangialavori è entrato a gamba tesa nella discussione sulla scelta del candidato a sindaco e lo ha fatto mettendo un veto personale su Antonello Talerico potenziale candidato del cdx cittadino, il quale, godeva anche del sostegno di Mimmo Tallini, storico dirigente azzurro catanzarese. Risultato: salta Talerico e va via Tallini. Una tattica maldestra che provoca una serie di reazioni a catena. La seconda mossa maldestra, la compie Wanda Ferro, la quale, secondo la ricostruzione dello stesso Tallini, e propone per prima il nome di Valerio Donato sul tavolo di centrodestra solo che poi al primo turno FdI decide di correre da sola, per poi convergere solo al secondo su Donato. Tuttavia c'è da aggiungere che l'ononorevole Wanda Ferro smentisce categoricamente questa circostanza, ribadendo di non aver mai fatto il nome di Valerio Donato ne ai tavoli del Cdx né fuori dai tavoli. Una precisazione che la leader di fratelli d'Italia ci ha fatto più volte, anche nel corso delle trasmissioni televisive alle quali ha partecipato. Tra l'altro l'onorevole Wanda Ferro ha più volte evidenziato che la proposta del prof Donato sia stata fatta propria da Giovanni Merante. La deflagrazione della sconfitta, dunque, la investe in pieno, gli errori politici della gestione della fase sono evidenti. Machiavelli si starà rivoltando nella tomba. Dilettanti allo sbaraglio avrebbero fatto meglio.
La posizione del coordinatore regionale degli azzurri in Calabria, ha introdotto nella discussione personalismi che, a sua volta, hanno prodotto dissenso e risentimento, a cui hanno corrisposto accanimento e contrapposizione. Sentimenti che qualsiasi leader di modesto spessore avrebbe evitato alla vigilia di una competizione elettorale. In questo quadro, è maturata la candidatura del giovane presidente dell’ordine degli avvocati di Catanzaro. Risultato: al primo turno l’avvocato Talerico ha raccolto il 14%. E Mimmo Tallini si conferma vincitore morale nella battaglia di riaffermazione e di posizionamento del centrodestra nella città di Catanzaro. Dalla preparazione del suicidio perfetto del primo turno, FI e il suo coordinatore, passano poi ad un perfetto capolavoro di sciatteria e presunzione politica nel secondo. Allorquando, Marco Polimeni, presidente del consiglio comunale uscente, commissario cittadino di FI nominato dal coordinatore regionale, in un delirante intervento lancia la fatwa in caso di vittoria di Fiorita: dimissioni in massa dei consiglieri. Un autogol clamoroso. Uno sfoggio di arroganza inutile e che, a giudicare dai dati elettorali, deve aver irritato e non poco l’elettorato di centrodestra.
Catanzaro e i seggi del Parlamento
Il disegno di Mangialavori su Catanzaro, per quanto maldestro, era ed è, abbastanza evidente e riguarda le elezioni politiche del 2023. L’obiettivo: decidere i candidati azzurri alla camera e al senato senza disturbatori. Il controllo politico del capoluogo, nella strategia del coordinatore regionale, gli avrebbe consentito di muovere le proprie pedine senza condizionamenti di rilevo. La vittoria di Donato, infatti, avrebbe sancito la definitiva liquidazione di tutti i pezzi da 90 del cdx cittadino dallo scacchiere politico regionale. Il risultato elettorale boccia clamorosamente questo disegno. Mangialavori e la Ronzulli, madrina politica di questo progetto, dunque, sono stati sconfitti rovinosamente. In un paese normale, ieri sera, dopo aver letto il dato, il sen. Mangialavori avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni. Invece, ieri neanche si è visto, e siccome nel nostro paese la politica non è normale, e le dinamiche di Forza Italia lo sono ancora meno, tutti si sono precipitati ad Arcore. A decidere, come sempre, sarà Silvio Berlusconi.
La partita di Wanda Ferro
L’on. Wanda Ferro, invece, ha giocato una partita, a mio avviso, in un certo senso più sottile: evitare di essere candidata da tutto il centrodestra. Se la scelta fosse caduta su di lei fin da subito, infatti, avrebbe avuto buone chance di vincere già al primo turno. Tra l’altro, come più volte evidenziato in campagna elettorale, il candidato, a Catanzaro, nello scacchiere del cdx, sarebbe toccato proprio a FdI. E, tuttavia, evidentemente, la Ferro non aveva questo obiettivo. La lady di ferro della fratellanza calabra, molto probabilmente, intendeva rimanere nel gioco nazionale. E, d’altronde, anche nel partito della Meloni la lotta politica interna per conquistare un seggio in Parlamento, è senza esclusioni di colpi. La siccità di seggi parlamentari riguarda tutte le forze politiche trasversalmente. Wanda Ferro avrà immaginato (o sospettato) che qualcuno a Roma, proponendola sindaco di tutto il centrodestra, volesse in qualche modo allontanarla dalle stanze romane. “Promoveatur ut amoveatur”? Ipotesi plausibile, in politica non sarebbe la prima volta.
Paradossalmente, il catastrofico epilogo della vicenda catanzarese, la rende più vulnerabile sul piano politico ed elettorale, anche sul fronte nazionale.
Scrivevo in un pezzo prima del voto: “è in questo quadro di crisi di classe dirigente del centrodestra catanzarese che, a mio avviso, si è infilata la proposta di Valerio Donato. Una proposta che, per il centrodestra, potrebbe essere un’ancora di salvezza in vista della partita delle elezioni politiche oppure la Waterloo definitiva. Tutto ciò lo capiremo il 26 giugno.” La risposta è arrivata: è stata una Waterloo.
Gli errori del professore
Valerio Donato tra il primo e il secondo turno registra sostanzialmente uno smottamento elettorale che si aggira quasi intorno al 25%. Quasi un terzo degli elettori rispetto alla prima tornata ha deciso di rimanere al mare e rientrare dopo le 23:00. L’astensione, infatti, ha colpito solo lui. Sarebbe comodo e conveniente immaginare che il calo della partecipazione sia riconducibile alla canicola. C’è da ritenere che una sconfitta di queste proporzioni sia dipesa da un’offerta politica incoerente, altalenante, frammentata e per certi aspetti cervellotica. La regia e la strategia della campagna elettorale, le parole d’ordine, la gestione delle polemiche si sono rivelate sbagliate.
Il professore della Umg ha fatto fatica ad accettare che il motore della sua avventura fosse il centrodestra. Ha criticato le civiche che hanno governato con Abramo e poi le ha imbarcate. Ha gestito maldestramente il rapporto con il sindaco uscente fino a ritrovarselo contro. Per non parlare del rapporto con i partiti ufficiali del centrodestra. Simboli no, simboli si. Leader no, leader si. Un tale atteggiamento ha irritato gran parte della militanza attiva del centrodestra e disorientato il tradizionale elettorato moderato catanzarese. Il risultato è noto: una parte è rimasta al mare, un’altra parte ha votato Fiorita. Un ceffone non tanto al prof. Donato mai ai direttori d’orchestra del centrodestra calabrese e catanzarese.
La vittoria di Fiorita
Nicola Fiorita vince. La città, seppur in un quadro di scarsa partecipazione elettorale, gli ha consegnato una vittoria netta. Il consiglio comunale lo farà amministrare. La sua dovrà essere un’amministrazione dinamica che dovrà tenere conto della struttura sociale di quella città. Il neo sindaco, tra l’altro, lo sa bene, anche perché, seppur collocato a sinistra, è espressione di quella borghesia moderata catanzarese, forse anche questo, è stata la chiave del suo successo e del gradimento che ha registrato. In questo contesto, ha vinto anche Nicola Irto, segretario regionale del PD, il quale, si è potuto appuntare la medaglia della vittoria sulla giacca, non tanto per i numeri del campo largo, su cui ci soffermeremo in un prossimo pezzo, che a Catanzaro, tra l’altro, non arriva alle due cifre, ma soprattutto per il percorso tattico utile a gestire le elezioni politiche di primavera. Gira e rigira, le strade portano tutte a Roma, a palazzo Madama e a Montecitorio.