Si insiste da più parti con la sbrodolante giaculatoria, secondo cui le donne - in quanto tali - avrebbero l'obbligo, per statuto biologico, di solidarizzare in ogni caso con tutte le altre. Della serie: una per tutte, tutte per una! Il fatto che, stante una mera casualità naturale, io sia sovrapponibile a tutte le consorelle, soltanto per condivisa detenzione di "bernarda", non può costringermi, sempre e comunque, ad un acritico afflato di genere.

Rivendico, al contrario, la libertà di argomentare, invocando, nella fattispecie, una sorta di orfananza dalla mia identità cromosomica femminile. Amo l'agibilità della Parola Neutra. L'anarchico suo fluire oltre ogni prigione settaria e tribale. Esistono complessità che si rifiutano di alloggiare presso archetipiche dimore. Che muovono verso l'esodo da ogni originaria appartenenza.


L'autolesiva "reductio ad ficam", issata irrazionalmente da ancelle e suffragette del Pensiero Molle, quale bandiera di una flebile e declinante battagliuccia da ringhiera, tutto è, tranne che Femminismo.
Mi attizza, al contrario, la condizione di esule: dal genere femmineo, dalla Patria- Matria. Da me stessa.


Del resto, le cosiddette "quote rosa", grazie alle quali si rischia puntualmente di imbarcare nelle istituzioni pubbliche cascame femmineo della peggiore specie, sono evidentemente fraudolente e lesive della dignità della Politica. Altro che valore aggiunto! A meno che non si voglia statuire la superiorità razziale dell'ovocita rispetto all'ormai sfigato testosterone. Golda Meir e Margaret Tatcher se la cavarono senza. Winston Churchill, poi, non ne parliamo. C'è di più. La cosiddetta "doppia preferenza di genere", ottenuta da noi altre per legge, è tripudio di svenevole vittimismo. Dovevamo assaltare il cielo e, invece, al massimo porteremo l'attacco al controsoffitto o alla tettoia della Storia, a bordo di un tristissimo tampax.


Il femminismo non può essere derubricato a mera titolarità della patonza, quale unica credenziale per accedere alle liste elettorali : la casualità genetica che ti decreta "femmina", infatti, non prefigura automaticamente una tua contiguità con Rosa Luxemburg o con Simone de Beauvoir. Il femminismo, nella stesura originaria, era atto assertivo, presa di coscienza, fiotto di eversione. Rivoluzione molecolare. L'esatto contrario, insomma, del becero parassitismo di marca simil- biologica propugnato, oggi, da improbabili e smunte streghette assai poco sulfuree.
Siamo allo smottamento della Magnifica Utopia della fine degli anni '60. Al disarmo totale.


Si fa strada sciaguratamente il più ruvido dei bipolarismi antropologici: la tuba di Falloppio contro lo spermatozoo. Come dire, i trattoristi della Val Seriana contro i forestali della Sila, i cassamortari di Latina contro i pompisti funebri altoatesini. I cultori di Nicola di Bari contro i tifosi del CarmenConsolismo. Trattasi di sublime idiozia!
Per non parlare, inoltre, di quella perversione semantica che si acquatta dentro gli interstizi del termine "sessismo". Pare sia concesso chiamare "cretini" soltanto i maschi. Se osi declinare al femminile il medesimo epiteto, ti becchi il 41bis. Ora, non scherziamo, ragazze! La desinenza di genere non assolve, a priori, da eventuali pallori neuronali. Se una è scema, ancorché portatrice di gnocca, resta scema. Come fai a pretendere l'immunità cellulare?


L'appartenenza di genere, specialmente in politica, è avveduta costruzione culturale, non già stato di natura.
Non è un caso che anche in Calabria, in prossimità delle elezioni regionali, si stia riaffacciando la solita, sdrucita retorica della "pregevole" diversità di eventuali candidate alla guida della Regione.


Se noi altre avessimo coraggio e ardimento, dovremmo esigere finalmente le "quote di talento". Ma questa è un'altra storia.