Il rapporto controverso tra magistratura e politica è da tempo materia sdrucciolevole, che reclama una minuziosa capacità d'analisi perché non si assecondino schemi di esplorazione abusati. Non fidarsi di letture rinvianti al solito, ruvido dualismo è cosa buona e giusta per chi abbia voglia di indagare una rotta di collisione sciattamente licenziata, spesso, come guerra tra opposti protagonismi di Stato. V'è da dire che la cronaca, nel caso di specie, non può dirsi innocente.

Ammettiamolo con franchezza: i fatti sono lo sguardo che li attraversa. La sottoscritta, in qualità di osservatore, non si presume "innocente", stante il tratto (per nulla questurino) che ne orienta il pensiero sul tema. Vivo di totale illibertà nei confronti del background laico e libertario che mi ispira. Ne dipendo totalmente. Ed è una magnifica illibertà. Tutt'altro che ideologicamente illibata. Implicarsi nel racconto non significa tradire la verità: vuol dire, al contrario, crivellare la panzana della neutralità della stampa, in nome della quale si rischia di frodare, da storiografi dell'istante, la propria biografia. Per questo, nel caso di specie, rivendico la faziosità più ardita: un sano, sanissimo pregiudizio circa le Virtù dei magistrati, percepiti sovente quali creature di una genìa eletta senza macchia e senza peccato.

Del resto, le intercettazioni che afferiscono alle "gesta" di Palamara & company sono un boccone amaro da deglutire per gli idolatri del potere giudiziario. L'inchiesta in questione, di fatto, disvela la "perversione" clientelare di molte presunte clarisse cappuccine della giustizia. Lo scambio correntizio a beneficio di carriere da pompare ne è prova inconfutabile. Altro che rotta di collisione! Siamo alla collusione più plateale dei (non più avversi) Palazzi. D'altro canto, mutatis mutandis, il rito è invalso da tempi assai sospetti. Trae origine dalla mattanza giudiziaria che falcidiò, agli inizi degli anni '90, gran parte dei partiti della Prima Repubblica. All'epoca, gli eredi senza titolo di Gramsci scelsero di subappaltare alle Procure la lotta politica. Abdicandovi.

Era il tempo del Pds. Da Togliatti all'ispettore Javert di Victor Hugo il passo fu breve. Di più: le imprese spericolate del pool di Mani pulite assursero al rango di variante vicaria dell'etica berlingueriana. E così il Primato della politica finì maciullato tra le fauci del basic instinct delle folle sanguinarie. Con tanto di iconografia patibolare e di scure del boia esibite dalla ferocia di stampa. L'ostensione dello scalpo di Bettino fece il resto. Sennonché, a distanza di anni, qualcuno- a sinistra- deve essersi accorto che aver ceduto in comodato d'uso l'agire politico alle "anime belle" della Pubblica Accusa è stata una supersonica minchiata. Assai autolesiva relativamente ai perimetri di spettanza dei poteri dello Stato.

L'attualità, d'altronde, non appare confortante a riguardo. Non basterà certo la timida inibizione alle "porte girevoli" (Cartabia docet) per circoscrivere lo spettro d'azione dei magistrati. Occorre in tal senso una riforma costituzionale in grado di correggere storture e inganni del sistema. Ci vuole, come sempre, sguardo d' orizzonte. Ma questa è un'altra storia. La verità è che, a trent'anni di distanza dall'epopea di Tangentopoli, sopravvive pervicacemente un ceto politico dirigente con le pezze al culo, incapace di rivendicare la dignità delle sue prerogative. Di garantire la solenne, inviolabile tripartizione di Montesquieu. Un ceto di controfigure fatalmente fragile e sottoscopa.