Il punto non è la morte, imperlustrabile alterità per Martin Eden, che smette di conoscere il buio nell’istante in cui lo conosce. Il punto è ciò che viene prima della fine e che ne preannuncia il farsi notte cupa già di mattina. Il prologo in cui vedi meticci e pastori maremmani squarciarti ogni prossimità di vita. E vedi passi inibiti. E fughe raggirate da fauci che cantano l’istinto nell'assedio a guance d'alabastro.

Simona non sa della sua morte, ancora da compiersi, non la vede da occhi vinti per la rapacia di bestie che le dilaniano il tempo. Ha vent’anni, solo venti, in quella radura che congiura contro l’eternità potente di una giovinezza accennata da intense morbidezze meridiane.

Da sguardi di lago quieto e di mare non dimesso. Su di lei, l’oltraggio famelico e feroce di cani in erranza che le accerchiano l’anima, maciullandola al ritmo di furore dionisiaco. Brandelli di suoni sinistri vestono il rito macabro e ancestrale dell'animale che difende il suo gregge. Contro l’etereo, inoffensivo incedere di una ragazza bella. Sola, senza scampo. Violata e perduta. Al confine di te e della contrazione dei tuoi anni brevi.

Al confine della tua disperante agonia, dove ha inizio il territorio brullo di un silenzio che non ha revoca. Il tuo papà dice che è come se gli avessero asportarto metà del corpo. Prende in carico il tuo supplizio, lo fa suo: carne della mia carne. Inchiodata alla pioggia del Golgota di Cristo. A quell'età sospesa, così cara agli dei dell'Olimpo, che a Simona risparmieranno le stimmate della vecchiezza. Mentre, da qualche parte, un assassino sa che è notte cupa e gonfia di mostri già al mattino.