La statua ha scatenato mille polemiche e c'è persino chi ne chiede la rimozione. Ma l'arte non ha doveri morali e i nostri musei sono pieni di nudi: i Bronzi, il David, il Cristo Velato... sono forse pornografia?
Tutti gli articoli di Innocenti Evasioni
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Ci risiamo: pure la Spigolatrice di Sapri adesso è troppo osé. «Uno schiaffo sessista» secondo l’ex deputata forzista Manuela Repetti, «esterrefatta» dalle curve eccessivamente procaci della nuova statua ispirata alla lavoratrice dei campi di Mercantini e inaugurata sul litorale campano: «Ne esisteva già un’altra ben più conforme alla sua storia e al suo ruolo». Ne chiedono la rimozione anche alcune deputate dem tra cui Monica Cirinnà: «Ancora corpi troppo sessualizzati» è l’accusa.
La Repetti dall’Huffpost si dice inorridita dall’abito «succinto, trasparente» e dall’atteggiamento «provocante e lascivo» della raffigurazione che suggerisce «di guardarle il bel sedere in mostra, tondo e perfetto», un’offesa alle donne «specie quelle che ogni giorno cercano di combattere quel maschilismo subdolo che striscia in ogni angolo di vita quotidiana specie nel nostro paese che vanta record di maltrattamenti e femminicidi, frutto anche di una visione della donna ancora come oggetto da possedere». Dello stesso tenore l’arringa della democratica secondo cui la novella mietitrice «nulla dice dell’autodeterminazione di colei che scelse di non andare a lavoro per schierarsi contro l’oppressore borbonico».
Ora che in Italia ci sia un problema di sessismo e che la violenza di genere sia una piaga non è nemmeno in discussione. E non è in discussione il gender gap (tant’è che parte delle risorse del Pnrr saranno destinate proprio a risanarlo). Sulla rappresentazione della donna nell’ultimo trentennio, che le tv di Berlusconi (partito in cui Manuela Repetti ha a lungo militato) hanno contribuito a costruire, si potrebbero aprire discussioni infinite. Premesso questo, e prendendo per buone le intenzioni, sono le argomentazioni bipartisan a lasciare molti dubbi: in esse si nascondono una serie di insidie tossiche quanto la mascolinità che si proclama di voler combattere. Insinuano l’esistenza di canoni di decenza e pudicizia che nessuno ha stabilito (per fortuna), soprattutto nell’arte.
È davvero la censura il mezzo con cui combattere il patriarcato?
L’arte rappresenta la visione del suo autore, si può criticare ma non ha doveri morali. Replica i canoni estetici del tempo. Sante e madonne delle nostre chiese hanno il volto di prostitute e cortigiane che solevano posare per gli artisti ricevendone in cambio eternità. Molte donne scandalose e lascive quanto l’abito della contadina che s’invaghì di Pisacane, sono quelle innanzi alle quali c’inginocchiamo per chiedere grazia nelle cattedrali. L’arte non è normale, come chiede la Repetti, l’arte è eccezionale. I musei sono pieni di nudi, femminili e maschili. Pensiamo ai Bronzi, al David, al Cristo Velato: sono forse pornografia? È pornografia Bernini, Canova? Chi lo stabilisce cos’è sconveniente e cosa no? Una statua può esserlo? E ancora: alcuni corpi sono più accettabili di altri? Quali? Le donne dal collo filiforme di Modigliani sono più virtuose di quelle tonde di Botero? Questa ossessione per il corpo femminile (anche quando per proteggerlo si vorrebbe desessualizzarlo) è progressista o reazionaria? Libertaria o talebana?
La querelle fa tornare d’attualità il secondo atto di Boccaccio ’70, “Le tentazioni del dottor Antonio” di Federico Fellini: un vecchio puritano (Peppino De Filippo) dà vita a una battaglia atta alla rimozione di un mega cartellone pubblicitario in cui una giunonica Anita Ekberg è testimonial di una marca di latte. Era il 1962 e le curve scandalose della diva che disturbavano i sonni dei bigotti asfaltarono il moralismo dell’epoca.
Che accadrebbe se il cartellone fosse esposto oggi? Un putiferio.
Nell’indignazione per le forme della spigolatrice si nasconde un dottor Antonio che sopravvive ai decenni cambiando sembianze. Il demone puritano non si combatte riscrivendo codici morali ma affrancandoci una volta per tutto da essi. In talune difese della donna si continua a processarne il corpo che non viene assolutamente liberato ma ulteriormente imbrigliato nei dogmi.
Forse è realmente inappropriata la statua di Sapri, probabilmente non somiglia all’idea della lavoratrice antiborbonica ma più a una frequentatrice di palestre (e qui sarebbe interessante conoscere la modella di riferimento), ma tacciarla come «provocante e lasciva» è sessista almeno quanto esporne il didietro.
L’opera dello scultore cilentano è stata inaugurata alla presenza dell’ex premier Giuseppe Conte che in una foto divenuta virale appare scortato da una banda di soli uomini: qui il punto. Fa impressione lo scatto: maschi di potere accerchiano un’unica donna che appare una preda, sola e nuda. Se lo scatto fosse esso stesso un’opera d’arte sarebbe una potentissima critica alla società attuale che permette ancora che in un momento istituzionale l’unica donna presente non sia nemmeno una donna ma una statua. Questo deve scandalizzare, non l’arte, mai i corpi.