Caviale, champagne, jet privati, privé, lusso, scorta, vestiti firmati: il truffatore di Tinder è tutto ciò con cui io non potrei matchare mai. L’incarnazione di uno swipe left. Outfit total logo, babbucce, romanticherie, lecchini, leccata di vacca. Ma come si fa?

Ci facciamo veramente piacere di tutto, ho pensato scrutando queste povere criste frodate da un nano che si spacciava per magnate (rampollo del re dei diamanti Lev Leviev, che invece esiste davvero) per spillare milioni a delle poveracce convinte d’aver beccato il principe.

Non sapete che sospiro di sollievo a fine documentario, anche se già dal primo accesso al titolo in vetta a Netflix m’era chiaro che questo playboy da strapazzo, che se ne andava per l’Europa applicando lo schema Ponzi alle dating app, con me non avrebbe avuto storia. Non perché sia più scaltra e fregature non ne abbia prese mai, ma perché sono più tipa da piccolo rapinatore di quartiere io (uno che mi seduce e poi mi frega l’iPhone). Altro che questo Simon Leviev, uno dei fake di Shimon Hayut figlio di rabbino ortodosso che stramortiva le prede con ricchezze derubate alle precedenti tramite preciso sistema: le abbagliava con Instagram (partner in crime di Tinder), un assaggio di agi e attenzioni nel mondo reale per poi tornare virtuale e divenire martire in fuga da nemici immaginari e pietire prestiti.

La prova che una bugia per essere credibile dev’essere assurda. Come questi cavalieri che c’inventiamo per noia e retaggi che ci convincono che agio e sicurezza siano sinonimi.   

Un giro di appuntamenti al buio infinito come i complici di una vicenda conclusasi nel 2019 in Grecia con l’arresto dell’uccellino di Tel Aviv avvenuto grazie all’ultima vittima, quella in carica, che smanettando su Google ha scoperto che il lestofante nella foto segnaletica di un’inchiesta partita a Oslo era il fidanzato.

The Tinder Swindle è frutto di un’indagine giornalistica che inizia in Norvegia a seguito della denuncia di una delle protagoniste della telenovela trasformatasi in thriller internazionale. Tre le testimonianze raccolte ma il giro di cadute nella rete del miliardario farlocco è indefinibile. Tutte destinatarie (contemporaneamente) di medesimi contenuti – il docufilm di Felicity Morris è realizzato tramite chat, stories, foto, audio whatsapp originali – secondo uno schema rodatissimo. Una messinscena studiata nel dettaglio con tanto di cast e figuranti complici. Una mega truffa che ha trovato terreno fertile nel mondo degli incontri proprio per quell’alternanza reale-virtuale che mistifica l’assenza.

L’intrigo internazionale si è tradotto in 15 mesi di reclusione di cui il principe dei pacchi ne ha scontati appena 5. Graziato dal Covid, a seguito di un decreto svuotacarceri per evitare i contagi, Simon Leviev è a piede libero, nuovamente attivo sui social dove ha aperto un’attività di consulente.

Più buio di un appuntamento c’è solo la finanza. (Scorri a sinistra!)