A New York sarebbe pronta una galleria della nightlife, finiremo tutti imbalsamati in delle teche? Un avvertimento è d’obbligo: siamo morti e risorti tante di quelle volte che espositori e collezionisti si assicurino di bandire “I will survive” dalla playlist
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Ho letto da qualche parte che a New York tutto sarebbe pronto per un museo della nightlife e, prima ancora di irrompere con un cavallo bianco nei fasti dello Studio54, mi sono immaginata in una specie di recinto dove giace segregata la vecchia me. Ecco dove andrà a finire la mia vita − mi sono detta − finirà cristallizzata in una teca e i sopravvissuti al cataclisma dovranno pagare un ticket per un selfie innanzi ai miei stivali mentre una guida spiegherà loro cos’era una socialite, specie vivente non indispensabile estintasi assieme ai dj nel Cretaceo 4.0. Rip.
Gli indizi ci sono tutti: si inizierà con uno zoo in cui solo le razze microchippate potranno ballare mentre tutte le altre tireranno noccioline da fuori le gabbie. D’un tratto il conflitto sarà così cruento che tutto precipiterà e i discotecari finiranno sezionati in una pinacoteca dove al posto della Guernica saranno esposti i reduci di quell’altra guerra che fu la notte.
Nel mio testamento sociale inciderò un ultimo desiderio: essere esposta accanto ai buttafuori cosicché anche da cera potrò confidare nel fuoco sacro della monta e liquefarmi per tutta la dance hall come è stato per l’intera vita mia terrena. Spalmarmi dal bar alla toilette che sono i luoghi culto della mia fede e di un’era geologica che vivrà solo sui libri di scienza. Dei cessi del Qube farei dei veri e propri mausolei dove riprodurre in scala naturale frociarole e travestiti che si scambiano rossetti sotto una targa solenne “Hic iacet pulchritudo”. Per i visitatori, ignari di un’epoca in cui per accedere al tempio l’unico siero richiesto era la grande bellezza, metterei di sottofondo “Music” di Madonna.
Quando attacca rivedo la me del 2000 che incede fiera al piano terra di Mucca con un cappello da cowboy fucsia comprato da Energie via del Corso, finito nel buco nero dell’oblio più di un decennio fa e perciò meritevole di una miniatura nell’area coatti. Già, chissà che fine faranno i coatti quando il clubbing riceverà l’estrema unzione? E gli yuppies? Chissà che stanza della galleria potrà mai essere riservata a chi già tutta la vita ha vissuto in riserve?
Foss’io la curatrice per contrappasso li piazzerei proprio a centro pista così almeno da mummie sarebbero condannati a divertirsi. Altro che sbocciare, farei bere loro la vodka travasata tirata a fondino durante un lento con Casamonica a Testaccio, per farmi gli anticorpi ai mali dei miei tempi che finiranno plastificati in un catalogo dove il caos declinandosi in de cuius muterà in ordine alfabetico.
Alla esse gli sciabolatori: quelli li esilierei nel sotterraneo assieme alle castigatrici del Diabolika per 100 frustate a bottiglia ad ogni rintocco d’orologio. Manca poco e pure questi saranno rottamati e sostituiti da mere sveglie che avviseranno quando entrare o uscire dai sarcofagi. Le ore proibite, dallo zero alle sei, saranno serigrafate ed esposte accanto agli shot elargiti dai barman per farci sloggiare.
Chissà se ci sarà un ricercatore tanto scrupoloso da commissionare un monumento al camper dello Zozzone? Assurdo, non ci hanno uccisi i suoi panini e cadiamo oggi di fuoco amico. Per mano di un pipistrello che abbiamo sempre considerato uno di noi.
Prima dell’epigrafe, però, un avvertimento è d’obbligo: siamo morti e risorti tante di quelle volte che espositori e collezionisti del sepolcro in cui verremo imbalsamati si assicurino di bandire “I will survive” dalla playlist del vernissage.
Se il paradiso non è certo, noi un pezzo e un after per risuscitare invece l’abbiamo sempre trovato!