La canapa viene utilizzata per integratori, cosmetici, aromaterapia. Mattia Cusani, socio di un'azienda del settore: «Questa misura non raggiunge alcun obiettivo concreto di sicurezza pubblica ma ostacola lo sviluppo di un comparto legale, regolamentato e in crescita»
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La cannabis light torna ad essere illegale in Italia. Il governo, con un emendamento al ddl Sicurezza, ha bloccato vendita e lavorazione. La misura suscita gravi perplessità e forti critiche. Oltretutto, avrà un impatto economico importante su un prodotto made in Italy in piena crescita. Ne parliamo con Mattia Cusani, presidente dell’associazione nazionale Canapa sativa Italia, laureato in legge e impegnato insieme ad altri 10 soci provenienti da diverse regioni in una azienda del settore in Calabria, la Jure Farm.
«Come presidente dell’Associazione nazionale canapa sativa Italia, sono pronto a impugnare questa decisione nelle sedi europee. L’emendamento è in palese contrasto con gli articoli 34 e 36 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue), che garantiscono la libera circolazione delle merci. Inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue), nel caso C-663/18 Kanavape, ha stabilito che il Cbd non può essere considerato uno stupefacente e non ha effetti nocivi sulla salute umana», spiega.
Intanto si è già ottenuto una sospensiva al Tar del Lazio contro un provvedimento simile.
«Sì, dimostrando che classificare il Cbd come sostanza stupefacente è privo di fondamento scientifico. Questa misura non raggiunge alcun obiettivo concreto di sicurezza pubblica ma ostacola lo sviluppo di un settore legale, regolamentato e in crescita, fondamentale per l’economia italiana. Con questo provvedimento, le perdite economiche per il settore potrebbero superare 250 milioni di euro, danneggiando gravemente aziende giovani e innovative».
Ma bisogna ottenere ancora di più
«Chiediamo una sospensiva immediata e l’annullamento di questo emendamento, seguendo l’esempio della Francia, dove divieti simili sono stati annullati».
Dicevamo che un’azienda importante opera attivamente in Calabria, a San Giovanni in Fiore, e fa numeri significativi a livello di mercato e di occupazione.
«La nostra azienda, Jure Farm, è composta da 10 soci, tutti giovani, e diamo lavoro a 20 persone stagionali, di cui 10 impiegate fisse quasi tutto l’anno. Attualmente, il nostro fatturato potenziale è di circa 500mila euro, ma potremmo facilmente arrivare a un valore cinque volte superiore se le istituzioni sostenessero realmente il settore e valorizzassero il nostro prodotto di qualità. Come presidente di un’associazione nazionale con oltre 230 iscritti, rappresentiamo un network di aziende che genera un impatto significativo».
Il provvedimento approvato alla Camera, se approvato anche al Senato diventerà legge. Con norme punitive che faranno molti danni al settore.
«Il danno complessivo per il settore potrebbe superare 250 milioni di euro, con potenzialità di miliardi se adeguatamente sostenuto. Il mercato richiede prodotti di alta qualità, e siamo pronti a soddisfare questa domanda sia a livello nazionale che internazionale. Chiediamo solo chiarezza normativa e il sostegno al Made in Italy per continuare a crescere».
Sfatiamo subito le leggende e i pregiudizi sulla canapa e sul suo utilizzo.
«È fondamentale chiarire che la canapa industriale, spesso erroneamente chiamata cannabis light (un termine fuorviante che suggerisce un legame con droghe leggere che in realtà non esiste), non ha alcun effetto stupefacente e non contiene sostanze psicotrope. La Cgue ha già stabilito che il Cbd non è uno stupefacente».
Non tutti sanno che la canapa viene utilizzata per tanti scopi benefici. In Italia purtroppo prevalgono i pregiudizi e in tanti c’è pure malafede.
«La canapa viene utilizzata in integratori alimentari, cosmetici, fitoterapia, prodotti erboristici, tisane, aromaterapia e molti altri settori. Non è un prodotto ad uso ludico o ricreativo; i nostri clienti sono principalmente adulti sopra i 40 anni, orientati al benessere e ai prodotti naturali, che apprezzano le sue proprietà benefiche. Dobbiamo smettere di considerare la canapa come pericolosa e riconoscerla per quello che è: un’opportunità economica e sociale per il Paese».
Nella destra italiana c’è tanto accanimento contro la canapa industriale, tanto da considerarla pericolosa e quindi illegale.
«Non parlerei di accanimento, ma forse di mancanza di comprensione e oserei dire di ignoranza condita da ideologia. È facile cadere nei pregiudizi quando non si conosce davvero il settore. La cannabis light non rappresenta un rischio per la salute pubblica o per la sicurezza. Continuare a vietarla non risolverà nulla; anzi, danneggia migliaia di lavoratori e imprenditori che hanno investito in buona fede».
Intanto ci si organizza per impugnare i provvedimenti una volta approvati definitivamente, anche perché è evidente l’assenza di basi giuridiche solide.
«La Corte di Giustizia Europea ha chiarito che il Cbd non è una sostanza stupefacente, e tali provvedimenti non reggeranno alle verifiche europee. Questo costringerà l’Italia a risarcire i danni e, finalmente, a regolamentare il settore in maniera corretta. Nessuno sembra voler prendersi la responsabilità di regolamentare; forse, superando certe paure, si potrà finalmente avere una normativa chiara e adeguata».
Nei Paesi europei succede ben altro. Purtroppo anche in questo l’Italia vive in piena arretratezza. E si allontana dall’Europa.
«Esatto. In Europa, molti Paesi hanno regolamentato la cannabis light in modo chiaro e favorevole. Il prodotto coltivato in Italia è molto richiesto all’estero, con esportazioni verso Germania, Belgio, Olanda e Francia. In Francia, il divieto sulla commercializzazione del Cbd è stato annullato dalla Cgue per motivi di libera circolazione delle merci. In Repubblica Ceca, il limite di Thc è dell’1% dal 2021, e questo Paese ci sta superando in termini di produzione, nonostante l’80% della produzione europea provenga dall’Italia».
La Commissione Europea è già intervenuta in passato per tutelare il settore.
«Sí, noi abbiamo presentato centinaia di denunce e una petizione europea con tutte le organizzazioni di categoria. Porteremo nuovamente il nostro caso davanti a loro, convinti che l’Ue ci darà ragione, come già accaduto con il Cbd».
C’è il rischio di una fuga dall’Italia. È come se qualcuno volesse costringere le aziende ad andare all’estero, e mortificare i ragazzi che hanno creduto in questo mercato che segna numeri positivi dal punto di vista sociale e occupazionale»
«Purtroppo è così. I giovani imprenditori che hanno investito nel Made in Italy, credendo nella legalità e nelle opportunità offerte dal settore, sono ora penalizzati. Il know-how sviluppato con sacrifici in Italia rischia di essere trapiantato altrove. Paesi come il Marocco hanno regolamentato la produzione di cannabis, e presto potremmo essere invasi da prodotti extraeuropei a basso costo».
A questo punto il rischio è lo smantellamento di un intero settore.
«L’instabilità normativa scoraggia gli investimenti e rischia di spopolare le aree rurali. Chi ci riconoscerà i danni subiti? Chi pagherà per gli investimenti in macchinari e infrastrutture non utilizzabili per altro? Il governo deve assumersi la responsabilità delle conseguenze di queste decisioni. Chi verrà ad investire in Italia se le regole cambiano dalla sera alla mattina? Non ci scommettono i nostri agricoltori e non lo farà nessun altro».
Le associazioni agricole criticano il governo, tanto che Cia-Agricoltori Italiani ha definito la decisione come una “grave sconfitta per la libera impresa”.
«Le critiche delle associazioni agricole sono pienamente giustificate. Questa è una grave sconfitta per la libera impresa e per tutto il settore agricolo italiano. Non abbiamo bisogno di ulteriori ostacoli, ma di una regolamentazione chiara che favorisca la crescita del settore».
Al governo si devono chiedere impegni seri per tutelare un settore molto importante dal punto di vista economico, non provvedimenti punitivi
«Chiediamo al governo di rispettare i principi europei, che promuovono il libero scambio e la libera concorrenza. È assurdo che si debba arrivare a dover impugnare la normativa italiana in sede europea, ma lo faremo per difendere il lavoro di migliaia di persone».
Poco prima dicevamo che anche le associazioni di categoria si sono nettamente schierate.
«Contro questo provvedimento si sono pronunciati Cna Agroalimentare, Confagricoltura, Cia, Copagri, Unci, Liberi Agricoltori, Altragricoltura, Associazione Florovivaisti Italiani, Eiha, Federcanapa, Sardinia Cannabis, Assocanapa, Resilienza Italia Onlus, Canapa delle Marche, Upcbd, e separatamente Coldiretti e CgilBrindisi. Queste realtà riconoscono che questo emendamento è un grave danno per un settore in piena espansione».
L’appello finale
«Perché non sostenere questa sovranità italiana, il Made in Italy, i giovani che ripopolano i borghi abbandonati e riprendono in mano le campagne? L’età media in agricoltura è di 65 anni; in questo settore sono state fatte leggi regionali, dati fondi Pac e supportati investimenti. È il momento di valorizzare queste risorse, non di ostacolarle».