Vasco Rossi, per chi negli anni Ottanta o Novanta era un ragazzino, è stato una carezza nella tempesta. Quando l'adolescenza cambia tutto di colpo, gli umori, i sensi, il corpo, ogni cosa dà un senso di vertigine e solitudine. Poter tingere le mattine della scuola - con quell’odore tostato dei bar che ti arrivava in pancia e la strizzava per bene prima di entrare in classe, le corse sul brecciame con lo zaino pesante in spalla e i pensieri in testa, la sigaretta nascosta in tasca - con le armonie della sua anima fragile, rock, dura, ribelle, è stato splendido, stupendo. Come in quella canzone, una di quelle che parte dolce e poi deflagra, quando s'impenna la batteria e le chitarre salgono su con la voce che grida: non sei solo, tu non sei solo, nemmeno sbagliato, è che certe volte è così che gira.  

La musica di Vasco, con le scarpe slacciate, senza ordine, senza schemi, spettinata e verace ha tatuato un bel pezzo di strada. Ha fermato nel tempo la giovinezza, le fughe da casa, gli amori disperati, li ha resi epici. Tutto, adesso, pare vissuto in un sorso, un bicchiere di vermuth ordinato giù, al Roxy Bar. Vasco Rossi lo dice all’obiettivo, a noi e a sé stesso: «Io sono sopravvissuto facendo rock. Ma non sono solo un sopravvissuto, sono un supervissuto». Pensava di morire giovane e invece «sono ancora qua, eh già».

Cinque episodi per il Blasco

I cinque episodi su Netflix, sono diretti da Pepsy Romanoff, alias Giuseppe Domingo Romano, regista classe ‘77 di Torre Annunziata, che ha alle spalle una carriera cominciata con All Music. Sua è la firma su moltissime monografie musicali di artisti nazionali e internazionali. A lui - così ha detto in un’intervista - Vasco gli ha cambiato la vita. Perché è così che fa il rocker di Zocca, entra con un giro di chitarra, si accomoda e ti resta dentro.

La miniserie segue la timeline della sua vita artistica, dando alla sua voce tutto lo spazio che merita. Dagli inizi come giovane fringuello vincitore undicenne della prima edizione dell’Usignolo d’Oro, a imperatore degli stadi che ha triturato ogni record di presenze e che l‘anno prossimo risalirà su un palco da cui non riesce a staccarsi.

Lasciano traccia negli episodi le parole degli amici d’infanzia, con cui ancora a Zocca (da pronunciare con la zeta dolce, dolcissima) il rocker si fa un giro a tressette al bar quando capita, dei collaboratori storici (tra cui Gaetano Curreri). Hanno scelto di apparire anche Laura e suo figlio Luca, la sua grande scommessa «perché alla fine degli anni Novanta ho scelto di farmi una famiglia. La cosa più rivoluzionaria che abbia mai fatto» confessa ridendo.

C'era una volta Albachiara

Le band, le liti, gli amori, la dipendenza, il carcere, i lutti, la rinascita. Vasco ha saputo cambiare restando fedele a sé stesso, a differenza di tanti altri che il tempo ha ripulito, imborghesito, intrappolato e poi restituito a forma di statuetta di cera. Lui no, perché Vasco ha sempre avuto qualcosa da dire, per davvero, e poca difficoltà a farlo. Un giorno si affaccia alla finestra, e vede una ragazzina che conosceva bene, scendere dalla corriera. Pulita, ordinata, con i libri sotto il braccio. Lui si siede alla scrivania, prende un foglio e tira giù “Albachiara” in pochi minuti. Così. Con la semplicità della voce che ti nasce da dentro e non sai neanche perché. Un inno, una canzone simbolo, un’epoca.

Per Vasco è semplice quello che per altri è impossibile. Ecco l’essenza del genio che cavalca il talento e lo supera in volata, come farebbe sulla strada a cavallo di una delle sue moto amatissime (e non a caso Valentino Rossi è uno dei pochi volti noti che appare nella serie). Tutto questo ha reso Vasco Rossi sopravvissuto, supervissuto sì, soprattutto immortale

Una vita spericolata

Più di quarant’anni di carriera, una vita, ma parlando di Vasco Rossi una vita spericolata, velocissima, in cui tutto girava e gira ancora, intorno alla musica, alla penna, alla chitarra. Parla con un candore spiazzante, con la tenerezza della meraviglia, quasi infantile, come se un fanciullo abitasse dentro all’uomo. Il fanciullo che il padre, camionista, un giorno si portò con sé in autostrada, il fanciullo che ne ha visto di gente perdersi, che si è fatto la galera, la via della paura tutta a piedi, che ha salito la collina della tristezza, della depressione, della malattia. 

Con quel fanciullo dentro al petto s’è innamorato, ha avuto figli, anche avventurosi, li ha amati tutti. Ha amato le sue donne, le ha raccontate con una dolcezza struggente carezzandole nell'intimo. E intanto che camminava in equilibrio sopra la follia, lui continuava a fare quello che doveva fare. Ogni volta, ogni volta. Musica. Rock. Vasco sgrana gli occhi, sembra dire guarda cosa ho fatto, cosa sono riuscito a fare. Allarga le braccia. Quasi parte quella canzone, la tua canzone, quella che sembra abbia scritto per te. Sei allo stadio, al buio, con le luci sul palco e l’onda intona “Liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa… chissà cos’è”. Cos'è? Forse si chiama vivere e sorridere dei guai.