Dopo tre anni, il ritorno di The Last of Us ha avuto l’effetto di una bomba nel metaverso dei serial addicted. Il secondo episodio, andato in onda su Sky la scorsa settimana – in contemporanea con gli Stati Uniti – e diretto da Mike Mylod (Succession) ha generato un’onda anomala di sdegno, sorpresa e cocente delusione, condita da lacrime e rabbia. Qualcosa di simile a quanto accadde con il discusso finale di Game of Thrones da cui scaturì addirittura una petizione per riscrivere l’ultimo atto.

Niente che i gamer non sapessero già da anni, però, visto che la serie The Last of Us e il videogioco di Naughty Dog (ancora senza eredi) da cui è tratta sono pressoché identici in tutto, tranne che nella scelta estetica delle due protagoniste destinate a fronteggiarsi: Ellie, interpretata da Bella Ramsey, e Abby, con il volto di Kaitlyn Dever.

La seconda puntata, macerata nella pancia della seconda stagione – arrivata con grande ritardo rispetto alla tabella di marcia a causa del passato sciopero degli sceneggiatori – si intitola “Through the valley” e prende il nome dal brano di Shawn James cantato da Ashley Johnson, che ha interpretato Ellie nei giochi, che chiude l’episodio più truculento di tutti, mentre fiocchi di neve imbiancano un epilogo tragico, ma necessario a innescare l’azione che verrà.

Quello che ha reso il gioco davvero leggendario, però, non è cosa strettamente legata alla dinamica, all’aggressività, al colpo di scena, piuttosto alla capacità di invertire l’empatia dei giocatori.

Chi è il cattivo? Da che parte decidiamo di stare?

La risposta sembra scontata una volta arrivati al plot twist della storia, eppure niente è come sembra. Perché i nemici si trovano sempre da entrambi i lati della barricata, ognuno con le proprie motivazioni, le proprie ragioni, le proprie vendette.

Il giocatore si alterna ai comandi di Ellie e di Abby, abbastanza a lungo da entrare nelle vite delle due ragazze, nel loro passato. Entrambe sono mosse da una sete di vendetta per qualcosa che gli è stato tolto con forza. La rabbia acceca e appanna ogni altra cosa, rendendo impossibile per entrambe vivere senza dare giustizia ai morti che le seguono come ombre.

Questo continuo passaggio da un personaggio all’altro, soprattutto dopo la scena madre, può disorientare, ma è prezioso. Mettersi nei panni di chi si odia aiuta a comprendere che le cose non sono sempre come appaiono. E sta qui la grandezza del gioco che è un’esperienza emotiva che la serie – seguendo un percorso molto più lineare – fatica a restituire con la stessa intensità.

Pedro Pascal, che interpreta Joel, ha commentato con dolore il secondo episodio, dopo la valanga di reazioni arrivate da tutto il mondo: «Capisco l’attaccamento che si può provare per i personaggi di un videogioco, una serie, un film o un libro. È successo anche a me. Mi è capitato di lanciare un libro contro il muro, ferito da quello che stavo leggendo. Se qualcosa fa così male ai fan, significa che è un guizzo brillante di scrittura». Anche Craig Mazin (autore di Chernobyl), co-creatore dello show, ha voluto rispondere ai fan: «Non ci piace turbare le persone. Questa storia fa eco alla vita, e nella vita succede anche questo».