C’è questa casa, sempre la stessa, con le finestre mute e alte, dall’aria coloniale. È bella e amata e desiderata. Ma è più di una dimora, è un’ossessione e come tutte le ossessioni finisce per diventare oscurante. Così accade nelle tre storie di “The House” che alitano nelle stanze di un racconto che taglia dimensioni e strati diversi di umanità e pseudo umanità.

Primo appunto, il film è un’opera girata in stop motion (una tecnica di animazione detta anche “a passo uno”) e questo porterebbe a considerarla adatta anche per i bambini. Non lo è. I racconti sfumati di nero, sono per un pubblico adulto e portano la firma di registi che faranno di tutto per farvi rigirare sul cuscino tutta la notte, parlo di Emma de Swaef e Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr e Paloma Baeza.

Questa piccola trilogia, divisa per capitoli, che ha per protagonisti pupazzi di feltro, topi e gatti antropomorfi, è stata fortemente voluta da Nexus Studio e poi acquisita su Netflix che l’ha lanciata da poche settimane suscitando l’interesse di chi è sempre a caccia di opere fuori dal comune. E “The House” lo è fuori dal comune. Partiamo, al solito, dal principio. Ogni episodio, ogni microstoria, è accompagnata da un esergo. Il primo recita così:

“E dentro di me, si tessero menzogne”

Protagonista è una famiglia modesta ma dignitosa, giudicata malignamente da parenti che non fanno che umiliare papà Raymond e mamma Penny per la loro casa umile. Un giorno arriva alla loro porta un uomo, vestito di nero, dall’incarnato pallido, che si presenta come il signor Thomas. Con imbarazzo avanza una proposta bizzarra: un sedicente architetto, un artista, mister Van Schoonbeek, chiede loro di trasferirsi in una dimora molto lussuosa senza avere nient’altro in cambio, solo dovranno immediatamente abbandonare la propria casa per sempre. Raymond, Penny, l’assennata Mabel e la piccola Isobel lasciano tutto e traslocano sperando di godere degli agi sperati e trovando, invece, alla porta il loro peggior incubo.

Questo, fra i tre, è uno degli episodi più inquietanti. L’avidità della piccola gente porterà la famiglia a lasciarsi allucinare e ipnotizzare dalle ricchezze al punto da trascinarli in un incubo che a Poe sarebbe tanto ma tanto piaciuto.

“È smarrita la verità che non si può vincere”

Un topo piuttosto elegante, camicia e pantalone à la page, briga al suo cellulare annunciando che ci siamo, tra poco la casa per la quale si è svenato, ristrutturata a puntino, sarà messa in vendita in una "Open House" che dovrebbe fruttargli bei quattrini. Topo è piuttosto eccitato, non fa che chiamare al telefono qualcuno che appella con tenerezza, annunciando che praticamente ha già l’assegno in tasca. Quello che accadrà in seguito sarà un’aspettativa capovolta, smangiucchiata, forata e ammuffita. Il ritorno a uno stato brado in cui la frenesia di una ricchezza attesa si trasformerà prima in delusione e poi in un abbrutimento selvaggio e irreparabile.

"Ascolta bene e cerca la luce del sole"

L’ultimo capitolo di “The House” è un piccolo raggio sole che squarcia la solitudine dell’ossessione. Rosa è una gatta che vive in una casa galleggiante fra le nebbie. Qualcosa nel mondo è andato storto e lei vive nella speranza di riuscire a rimettere a posto quella casa che divide con altri tre inquilini. Quelle mura, che rifuggono a ogni tentativo di accomodamento, raccontano una storia antica mescolata a brutti presagi. Non ci sarà lì, in quel modo, così come l’aveva sognato, il sogno di una vita migliore. Mentre gli altri prendono il largo lontano, Rosa lotta contro se stessa, cercando di superare la paura del distacco da quella che aveva sempre considerato una casa e invece era solo una zavorra.