S’è fatta largo con le spalline d’acciaio e a passo di panzer Wanna Marchi, scrivendo all’italiana il romanzo del sogno americano, contraltare delle storie di quei telepredicatori della West Coast che miracolavano paraplegici girando in Cadillac. L’iperbolica vita della televenditrice italiana più controversa, finalmente è sullo schermo. Netflix ha distribuito il suo biopic formato docu-serie (5 puntate scritte da Alessandro Garramone e Davide Bandiera, dirette da Nicola Prosatore e prodotte da Fremantle Italia). Scorre a video una sfilza di filmati dell’epoca, testimonianze dei volti che in quella palude dell’emittenza da sottobosco hanno venduto di tutto (dagli orologi ai tappeti). Ogni clip traccia a matita l’evoluzione della sovrana delle patacche che si commuove solo ricordando il disastroso debutto in una piccola tv da mercatino. Ma Wanna non è Joy Mangano, l’inventrice del celebre mocio che dopo il primo flop si ricucì diventando la lady di tutte le televendite, le piace troppo correre sul bordo tenendosi su con l’elio delle sue urla.

Cipolle di zirconi e tarassaco per le cosce

Nel fiumiciattolo delle sottoreti, umida terra di confine con i resti d’osso delle bistecche ancora attaccate alle lame dello Shogun, il brillio delle cipolle di zircone per un quindicennio è stato oscurato dal regno della regina delle alghe. Un trono conquistato in sovrimpressione, radicato sui preparati al tarassaco, con l’erede al fianco e un popolo di sudditi con le cornette in mano, ai suoi piedi.

Lei, nata da una coppia di contadini a Castel Guelfo di Bologna, orfana di padre, era partita in utilitaria per finire in Mercedes: ha goduto del vento in vetta per precipitare subito dopo ma senza mai affogare perché una come lei sa bene come si sta a galla. Petto in fuori, rossetto perlato, piglio da sergentissimo col frustino in una mano e la fanghiglia per le cosce dall’altra, la Marchi nasce sbraitando “d’accordo?” (diventata anche una hit), cantandole a tutte le casalinghe sonnolente con il cesto per lo stiro ancora pieno e gli spinaci da mondare.

Centomila lire per un sogno

«Brutte, grasse, schifose», così sputava contro le massaie, alzando di ottavi infiniti la voce per sculacciarle, sbattendogli in faccia frustrazioni e paure. «Così lardosa il marito non te lo tieni». Colpo secco, colpo a segno. Chi si offendeva, chi si guardava l’elastico delle mutande sempre tirato. Tutte bramavano quei vasetti. Centomila lire per un sogno: ridurre il girovita riportandolo ai centimetri dell’abito da sposa. Così Wanna, con la doppia W, ha trasformato l’Italia da Paese da bere in Repubblica basata sullo scioglipancia. Il miracolo della piccola bottega delle cremine nella sua Ozzano, si è cristallizzato nel salotto di Maurizio Costanzo. Di lei parlavano tutti da Pippo Baudo a Enzo Biagi. Lei era la gran maestra del “volere è potere”, direttore del gran circo delle illusioni in formato 4:3.

Un film già scritto e pronto per lo schermo

È un mistero il perché nessuno tra gli sceneggiatori italiani abbia mai pensato di buttare giù un soggetto per un film che era già chiuso e perfetto, forse da gran premi con un casting ben fatto. Gli ingredienti c’erano già: la donna di provincia sposa per cortesia e casalinga per destino, finita a spargere banconote da cento agli ospiti della sua villa con il pavimento di cotto buono e i ninnoli di porcellana sul servant di noce. Nel mezzo di questa vita i bagliori metallici della malavita, il malocchio, l’estetica, giri di fatture, la ricchezza, la prigione e i ricordi incisi a fuoco della suocera che le dice, appena fuori dalla chiesa: «Mio figlio meritava una moglie migliore, guarda quanto sei brutta».

Così racconta lei stessa, per gonfiare la leggenda con la rabbia del riscatto: lei, una qualunque, neanche così avvenente, che diventa la guru della bellezza, la dea Era che con violenta clemenza concede l’elisir a chi chiama il centralino e si lascia convincere che un solo prodotto non basta. Lei, “la Marchi”, in coppia con l’erede sempiterna che non sarà mai regina, Stefania Nobile, buttata davanti alla camera a quindici anni con il ciuffo ricciuto, a imparare come si fa a prendersi quello che si vuole. La sua di vita fa da corredo all’ingombrante petto materno che tutto risucchia, i cambi di capigliatura della Nobile segnano gli anni dei suoi inizi, scanditi dal platino cortissimo, poi deviati nella prepotenza del carré rosso pompeiano listato di bianco, dell’acconciatura a riccio che colora il passaggio dalle creme, create in una notte, ai numeri del lotto e ai riti propiziatori.

Il miracolo all'italiana del cameriere scalzo

Nell’Italia esagerata, bollicine e bum-bum, del “piaci alla gente che piace”, Wanna Marchi era la compagnia del tinello, un po’ Sally Spectra e un po’ la fruttarola di fiducia. L’amica esagerata col consiglio giusto e le maniche della giacca sollevate per far vedere le mani che dovevano mostrare, attirare, puntare e, naturalmente, vendere. In questa tortellini-soap, entra anche l’esoterismo alle soglie degli anni Novanta. La gente adesso sogna la bellezza ma soprattutto la fortuna. È il momento del maestro, mai mago (ci mancherebbe), Mario Pacheco Do Nascimento, ragazzone arrivato da Bahia e planato nelle cucine del marchese Antonio Capra De Carré dove faceva il cameriere scalzo. Ad una cena scatta il colpo di fulmine. Wannissima se lo porta con sé confidando nelle sue doti divinatorie, pare, ereditate da antichi avi. Insomma una bella macedonia di frattaglie. Il maestro di vita esordisce sullo schermo e dà i numeri.

Fioccano i miliardi sulla ruota della fortuna (ma solo per lei)

Dopo le denunce, gli incendi, le vendette del marchese scaricato, collaborazioni chiacchierate, i sequestri miliardari, Wanna Marchi risorge dalle ceneri dei suoi intingoli, e punta sulla ruota della fortuna. Fioccano i miliardi, anche 60 al mese (così dicono). Ma la magia le riesce fino a quando non viene fuori un giro di minacce telefoniche a clienti che si erano indebitate fino al collo per acquistare rituali contro il malocchio.

Così arriviamo al penultimo atto della grande tragica commedia della sua vita. Dopo gli ultimi guai giudiziari, e con il maestro Do Nascimento caduto nel basso di quella fortuna che predicava bene e razzolava male, i tentativi di risollevarsi diventano opache speranze stroncate dall’opinione pubblica. Niente “Isola dei Famosi”, niente corso motivazionale per venditori in Puglia. Mamma e figlia scottano troppo e nell’epoca del bodypositive e del politically correct, il loro stile non solo è demodé ma anche pericoloso. In tutta questa storia quello che rimane costante è proprio il legame tra le due, saldato dopo la separazione burrascosa dal marito, suggellato da una simbiosi iperreale quando le due decisero, per soldi, di indossare l’abito bianco e sposarsi insieme. Madri, figlie, amiche, complici, comari, indivisibili come gemelle siamesi, feti di un unico ventre che negli anni si è ingrossato per contenere la loro ambizione e niente potrà mai ridurre, neanche uno scioglipancia.