Per la prima volta viene raccontata in una serie la guerra di Davide contro Golia di un un gruppo di creativi contro il colosso di Cupertino
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Un caso di cui si trovano poche tracce in rete (più avanti si capirà il perché), almeno per quanto riguarda i dettagli di un processo lunghissimo che fece scalpore all’epoca e che mise Google alla sbarra, con l'accusa di plagio. Parliamo della storia della genesi di Google Earth, riemersa grazie alla serie prodotta da Netflix Germania: “Il codice da un miliardo di dollari”.
Basato su una storia vera
Siamo nella Germania tuffata nei pixel sfocati degli anni 90. Il Muro è caduto da poco e in tutto il Paese c’è voglia di ripartire, raccogliere le macerie, rinnovare la p
ropria immagine. Rosa shocking, giallo fluo, arte e musica elettronica dei club interrati diventano un marchio sulla pelle, un odore, un umore. In quel magma creativo, pronto a esplodere, quattro ragazzi s’incontrano per caso e fondano la società Art+Com.
Si tratta di Axel Schmidt, Pavel Mayer, Joachim Sauter e Gerd Grüneis. Tra loro s’agitano diversi talenti: c’è chi studia ancora all’Università delle Arti e chi è membro del leggendario Chaos Computer Club (CCC) di Berlino che riunisce i più abili hacker del Paese.
L’intuizione geniale: voliamo sul mondo restando a casa
Schmidt e Mayer hanno un’intuizione: perché non sfruttare la tecnologia computeristica per creare un programma che possa letteralmente volare sul mondo, permettendo di visitare, dal divano di casa, magari la propria città d’origine, guardandola dall’alto?
Loro sono bravi programmatori, certo, ma i mezzi a disposizione non sono adeguati alla grandiosità di quel progetto. Grazie all’intraprendenza di Sauter e Grüneis viene coinvolta la Deutsche Telekom, la società telefonica tedesca, che proprio in quel periodo è obbligata, per legge, a investire parte dei capitali nell’innovazione tecnologica.
Nasce Terra Vision
Quando i quattro si presentano davanti ai due responsabili dell’azienda, piuttosto perplessi sulla fattibilità del progetto considerato troppo avveniristico, alla domanda: come si chiama questa idea? Loro rispondono: Terra Vision. Il seme è piantato.
Un anno dopo, siamo nel 1994, i quattro presentano alla fiera di Kyoto la loro creatura strappando l’attenzione di tutti i media. «È una rivoluzione» dicono i delegati dei tanti Paesi ospiti. «È il futuro» rispondono i quattro creatori che finiscono sulle copertine dei magazine più famosi. Fu un trionfo. Che durò poco tempo.
California dreamin’
I quattro non volevano fermarsi a quella grande sfera blu su cui bastava poggiare le mani per far apparire la Terra su un grande schermo. Ma la Germania, all’epoca, i potenti mezzi informatici se li poteva solo sognare e per portare Terra Vision a fare un ulteriore scatto, cioè renderla fruibile da ogni singolo computer del mondo, servivano mezzi molto più attrezzati dei loro. Servivano i sistemi della Silicon Valley.
Così, valigie fatte, partono tutti per la California. E lì l’incontro con Michael T. Jones e Brian McClendon della Silicon Graphics fu fatale. I due americani, stando ai racconti del gruppo berlinese, che in buona fede si fidò dei colleghi d'Oltreoceano, raccolsero tutte le informazioni per riprodurre il famoso algoritmo, e lanciarono, qualche tempo dopo, un progetto assai simile a Terra Vision a cui diedero il nome di “Earth Viewer” che poi Google comprò trasformandolo, nel 2004, in “Google Earth”.
I nerd trascinano in tribunale Google
Per affrontare un procedimento per violazione di brevetto, negli Usa, è necessario sborsare, così si racconta nel film, almeno 10 milioni di dollari, esattamente il doppio dell’offerta originale inoltrata da Google ai tedeschi (a cui il colosso non diede mai seguito). Questo scoraggerebbe chiunque dal provare anche solo a intentare una causa, ma uno studio legale, avvezzo a procedimenti contro major, si accollò tutta la spesa, convinto di vincere sulla base delle similitudini, impressionanti, tra i due algoritmi. La guerra in aula tra Art+Com e Google, per quello che i creativi tedeschi consideravano non solo un colpo basso ma il furto del brevetto in piena regola, durò dieci anni.
L’idea della serie dopo un barbecue
L’idea di questa serie, in cui i protagonisti hanno nomi diversi da quelli reali, (Schmidt e Mayer si trovano uniti in un unico personaggio, Juri Müller; Joachim Sauter e Gerd Grüneis sono entrambi parte di Carsten Schlueter. Jones e McClendon hanno la faccia barbuta di Brian Anderson) è nata grazie a un barbecue.
Il regista tedesco era il vicino di casa di Sauter e così, tra una chiacchiera e l’altra, è uscita fuori questa vecchia storia che nessuno conosceva.
«Come cineasta, desideri sempre trovare questa storia davvero incredibile che non è mai stata raccontata. E all’improvviso è lì – ha raccontato lo showrunner Oliver Ziegenbalg -. La cosa bella è che la storia di Terra Vision non racconta solo qualcosa sugli inventori e la loro incredibile lotta per la giustizia, ma anche sull’intera Era di Internet e sulla digitalizzazione del nostro mondo, dagli inizi ingenui a ciò che è oggi».
Pesce grande mangia pesce piccolo
Se il motto di Google era “Don’t be evil” (non essere cattivo), quello della Art+Com era “New media since 1988” a rimarcare come loro ci avessero visto lontano in tempi non sospetti.
«Abbiamo vissuto a Berlino in quel periodo. Ricordiamo quell’epoca, noi c’eravamo! – hanno raccontato gli autori della serie a Variety -. Nelle storie ambientate nel selvaggio West, c’è sempre il lato buono e quello cattivo, ma non ci sono nemmeno regole. I più forti se le inventano, come è successo anche qui», ha detto Thalheim.
Che fine hanno fatto i protagonisti
Due dei protagonisti di questa storia, gli avversari più acerrimi, Sauter e Jones, sono stati accomunati da un tragico destino, entrambi sono morti di cancro. Il creatore della Art+Com a luglio scorso, dopo aver collaborato attivamente alla stesura della sceneggiatura della serie che non ha mai avuto il tempo di vedere.
Ma il mondo adesso sa come tutto sia partito dalla visione di quattro ragazzi di Berlino che sognavano di volare sul mondo ma sono atterrati troppo presto.