Era giusto che qualcuno ce lo dicesse, prima o poi, senza troppi drammi, al modo brusco del migliore amico che non s’è mai arreso alle buone maniere. Una decisione va presa. In pizzeria, per strada, nel mondo. E no, non è andata così e pazienza.

Dovevano dirlo a noi, i soliti infiltrati nel cubo dell’eterna gioventù che è stata, la generazione congelata tra il benessere e la catastrofe, costretta ad andare lenta per non cadere giù. A quelli della maglietta che non si butta mai, sempre la stessa, stipata, o meglio, arrotolata nel cassetto, che c’ha i buchi sul davanti e non ha mai ceduto al ricatto del ferro da stiro, dell’ammorbidente al cocco. Qualcuno doveva dircelo che dei giorni che passano ne abbiamo una paura così grande che accantoniamo il problema sotto un mucchio di panni sporchi, aspettando di trovare un posto a tutta quella cianfrusaglia accumulata tra il nostro piano per il futuro e l’uscita dal retro.

L'abbraccio di Zerocalcare

L’ha fatto Zerocalcare, con un foglio e qualche tratteggio e una grande verità, travestita da segreto: nessuno s’è saputo ritagliare alla perfezione, neppure quelli che si sono fermati a vedere che succedeva là fuori senza muovere un muscolo, perché alla fine si sono ritrovati in mano un foglio tutto sbiadito e umidiccio e rovinato e la loro figura sopra che li fissava e aspettava.

“Strappare lungo i bordi”, la serie Netflix di Zerocalcare, in sei episodi va dritta alle ossa senza passare dalle traverse di salvataggio. Con un linguaggio perfetto, il ritmo perfetto, le lacrime che ora sono miscele di risate, ora di dolore agro.

Michele Rech lo dipinge in faccia quel grumo di malinconia che la generazione dei 90’s s’è accollata senza accorgersene. Allo stesso tempo con un colpo di sopracciglia allontana ogni giudizio, in fondo siamo stati già abbastanza bastonati.

Gli anni, gli amici, questi famosi obiettivi che dovevamo raggiungere quando alle elementari al massimo eravamo quelli intelligenti ma che non si impegnano. Tutto è finito in un giro di centrifuga. Camminare a colpi di reni cercando di non inciampare troppo spesso, è diventato il programma del giorno. Dei giorni. Invece ci volevamo solo guardare e abbracciarci anche per ripeterci che tutto si sarebbe sistemato, qualunque cosa significhi “sistemato”.

Un armadillo vicino

Quella di Zero è un’opera magnifica, ti fa venir voglia di accantonare tutta la spazzatura che ci sorbiamo, persi nei miliardi di cataloghi online di serie e film sfornati come rosette dal fornaio la mattina, e aspettare che arrivi un’altra cosa bella così. E ti fa venir voglia di trovarti accanto un armadillo che ti dice le cose come stanno, cose che già sai ma seppellisci in fondo, che poi a un certo punto tace, la smette di starti addosso e ti fa sentire le voci vere delle persone che ci circondano, senza il filtro salvavita installato tra le nostre orecchie.

“Strappare lungo i bordi” non si può raccontare, va vissuta. Si ride e poi si piange, tanto. Ed è quella specie di dolore che ti fa pure sognare certe cose lontanissime in cui sei lì, cerchi di stare attento ma strappi e strappi e vai sempre storto. A ripensarci: che importa se le cose non sono andate, c’è tempo per tirare via la polvere, sistemare lo studio, ripulire il futuro. Forse c’è qualcosa oltre le strisce, uno spazio bianco che non va ritagliato, né strappato, forse disegnato. Nessuno lo sa come uscirne perfetti, vivi, ma noi sappiamo come si schiva la vita, siamo cintura nera, Quinto Dan. È già qualcosa.