Prima avvertenza: “Squid Game” (“Il gioco del calamaro”, un passatempo simile alla “campana” ma più muscolare) non è per tutti i palati. Non lo è perché c’è tanto sangue, tanta violenza, cadaveri che si accumulano come mandarini di stagione sotto l’albero. Quindi chi preferisce le porcellane di Downton Abbey e non ha uno spirito bifronte sospeso tra sangue e merletti, meglio non inserisca questa serie nella propria lista personale.

Una serie per stomaci forti

Seconda avvertenza: è in coreano, non è doppiata, solo sottotitolata in italiano. Garantisco che il disorientamento dura pochissimi minuti, in breve diventa piacevolissimo seguire le vicende dei 456 concorrenti di un gioco spietato, spalmate in 9 episodi diretti da Hwang Dong-hyuk, regista coreano di Seul, famoso per il suo “Dogani”, del 2011, che riuscì a far varare una legge in protezione dei bimbi sordi vittime di pedofilia.

Dong-hyuk è tecnicamente ineccepibile, ha alle spalle esperienza come sceneggiatore e direttore della fotografia, una sapienza che è tutta riversata in questa creatura televisiva già diventata un fenomeno di costume, appunto, “Squid Game”.

Due o tre appunti sparsi, senza rovinare la sorpresa (ce ne sono tante). Che è destinata a un pubblico con lo stomaco rinforzato l’ho anticipato, siamo sul filone del semi-distopico ma neanche troppo (la realtà ha superato la fantasia in curva parecchie volte), è una cavalcata velocissima perché è una serie che ti prende dal colletto e non ti molla fino all’ultimo secondo.

Squid Game, ci sarà un capitolo due?

Quello che non sappiamo è se ci sarà o meno un secondo capitolo. Il regista, travolto dal successo globale, che ha fatto schizzare la serie in vetta alla top ten di Netflix, preso d’assalto dai giornalisti, ha già detto che con la crew giusta sarebbe anche disposto a rimettersi dietro alla macchina da presa. Per il momento, quindi, non c’è niente in cantiere, accontentiamoci di quello che c’è. Intanto su Ebay quella che ormai è diventata la famosa tuta di scena, sta andando a ruba a poco meno di 60 euro. Halloween è vicino, cosplayer avvertiti.

Per chi s’è fatto ingannare da qualche frame dico no, non è una versione orientale de La Casa di carta. Ci sono guardiani con la tuta rossa e il cappuccio, ma siamo su pianeti distanti. Sia per l'intreccio che per l'idea, Corea batte Spagna sei a zero.

Una gara all'ultimo sangue

Diamo uno schizzo di trama, tanto per dare un’idea. Siamo in Corea, un gruppo di 456 persone, uomini e donne, cadute in disgrazia per vari motivi, indebitate con banche e strozzini, decide di partecipare a un sanguinoso torneo composto da diversi livelli di gioco (e sono giochi per bambini). Chi perde muore, chi vince porta a casa una fortuna: più di 40 miliardi di won (circa 30 milioni di euro). Noi seguiamo soprattutto le vicende di Gi-hun, un brav'uomo ma col vizio del gioco, una figlia a cui non riesce a badare come vorrebbe, una madre malata di diabete. Vive in miseria e alla giornata, nelle pozze di fango di una periferia umida e appiccicosa in cui una varia umanità campa alla giornata cibandosi di scarti e teste di pesce avanzato dai mercati.

Nessuno dei prescelti è costretto a partecipare e con l’accordo della maggioranza tutti possono tornare a casa sani, salvi e poveri come prima. Lo faranno? Come si comporteranno i concorrenti? Stringeranno alleanze o confermeranno quello che scriveva Plauto: homo hominis lupus?

E qui ci fermiamo. Ne vale la pena vedere "Squid Game"? , ne vale la pena. Ma se qualcuno un giorno, mentre aspettate il treno, vi dovesse offrire di giocare a ddakji (in Italia pog), chiedendovi di ribaltare un cartoncino lanciandogli contro un altro cartoncino, meglio ringraziare e girare i tacchi. È solo un consiglio.