Tra meme virali e censure, la miniserie di Pippo Mezzapesa sorprende con una narrazione efficace, un cast credibile e una scelta stilistica d’impatto
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Già dalla locandina, la serie di Pippo Mezzapesa “Qui non è Hollywood” - prodotta da Matteo Rovere - ha cominciato a viaggiare per il web, trainata dai meme che ridevano del poster generato dall’Intelligenza Artificiale talmente ridicolo da aver ricevuto i ringraziamenti di Maccio Capatonda per l’indiretta citazione. Un’ingenuità incomprensibile o una mossa strategica? Saperlo.
L’anteprima alla Festa del cinema di Roma era stata accolta in modo contrastante, accrescendo la curiosità non solo dei crime addicted, ma di chi si aspettava di assistere a qualcosa che rispecchiasse quella locandina: una storia nera narrata in modo trash (una vera manna per l’onnivora Rete).
A rilanciarla in modo supersonico, ci ha pensato il sindaco di Avetrana, seccato dall’idea che la sua cittadina potesse uscirne con le ossa rotte, che è andato a chiederne la censura direttamente a un giudice di Taranto che, in via preventiva, ne ha ritardato l’uscita. A quel punto, quando Disney+ ha potuto finalmente rimetterla in catalogo con un titolo diverso (non più “Avetrana, qui non è Hollywood”, ma solo “Qui non è Hollywood”) il pubblico ha potuto guardarla e capire se si trattasse solo di tanto rumore per nulla o di qualcosa di interessante.
Ed è così, la serie del regista pugliese è a tratti sorprendente, ma non immune da inciampi. Divisa in capitoli, quattro per la precisione, che portano il nome dei principali protagonisti di questa terribile storia, non si limita a ripercorrere fedelmente gli ultimi giorni della quindicenne Sarah Scazzi, fino alla condanna della cugina Sabrina e della zia Cosima, ma con uno stile che a volte strizza l’occhio al grotesque, quando l’obiettivo indugia sui volti, straordinariamente somiglianti, dei personaggi coinvolti nell’assassinio di una ragazzina rea di aver preso una cotta per un giovane amato dalla cugina, riesce a restituire un’atmosfera soffocante e tesa, calata nell’acquerello di un’estate del Sud.
La luce dorata che bagna quella strada, percorsa per l’ultima volta da Sara, che non vedrà il tramonto di un giorno che doveva essere solo un pomeriggio di svago al mare con sua cugina, si scurisce di colpo all’interno di quel garage che l’ha vista stramazzare al suolo, senza vita, attorniata da una famiglia che avrebbe dovuto proteggerla, ma che si è rivelata un cinico carnefice.
Mezzapesa costella la messa in scena di elementi simbolici e quasi surreali, per sottolineare l’orrore che sempre più spesso è così vicino da non riuscire a vederlo nitidamente, in contrapposizione allo sguardo innocente e svagato di una ragazzina innamorata dell’amore, che finirà la sua breve vita in fondo a un pozzo.
Non c’è morbosità, peccato in cui era facile cadere per ingraziarsi gli spettatori, ma amore per le inquadrature, ossessione per i close up che catturano microespressioni che parlano più di una battuta. La buona riuscita della miniserie, che tuttavia presenta qualche sbavatura e qualche ingenuità stilistica proprio nelle parti in cui racconta il circo mediatico che si raccolse in quella piccola cittadina pugliese (compreso il giro turistico degli orrori), presidiata per mesi da giornalisti e telecamere, è merito del cast e naturalmente del regista che ha saputo come dirigerlo al meglio.
Gli attori hanno dato un’ottima prova, il che non era scontato affatto, anzi è roba assai rara per una produzione italiana che sforna sempre più spesso attori sussurranti a vagonate. Tutti sono riusciti a non scivolare nel macchiettismo, ma a regalare una performance intensa e credibile, mai sopra le righe. Vanessa Scalera, che interpreta la sfinge Cosima Serrano, svetta su tutti, consolidando un talento che non scopriamo oggi. Menzione d’onore anche per Paolo de Vita e Giulia Perulli che per vestire i panni di Sabrina è arrivata a ingrassare 22 chili.
Ogni episodio si conclude con "La banalità del male", brano di Marracash ispirato al famoso saggio di Hannah Arendt, che esplora il male inteso come azione prodotta da conformismo e ignoranza che intorno lascia solo macerie.