Ci voleva il villain italiano per eccellenza, per produrre una serie italiana che valesse finalmente la pena guardare senza cincischiare col cellulare, senza udire un sussurro, un mormorare continuo, un dialogo forzato, uno spiegone tirato; senza essere costretti a ritenere accettabili una fotografia da soap opera anni 90, un medico in corsia che risolve casi, un detective con l’impermeabile che si ferma sulla soglia della porta.

Ci voleva il “Cattivissimo me” nostrano, il dottor Male di Dovia di Predappio, per produrre “M. Il figlio del secolo”, miniserie Sky (scritta da Davide Serino, Stefano Bises con la collaborazione dello scrittore Antonio Scurati) sull’uomo che nacque socialista e morì fascista, che nel Ventennio si è attribuito qualsiasi merito: la costruzione di acquedotti e scuole, l’idea delle porte aperte sempre, delle pensioni, abbaiando con le mani sui fianchi per farsi sentire anche dall’ultimo della fila.

Il regista Joe Wright, che rese Gary Oldman un fantastico Winston Churchill ne “L’Ora più buia”, spegne le luci anche sull’Italia, trasformando Luca Marinelli, il più bravo attore italiano del momento, in Benito Mussolini secondo Scurati.

Il registro scelto nella serie è quello del dialogo tra pubblico e scena, in una rottura continua della quinta parete che per spirito di malefica ironia, ci ricorda anche il compianto Frank Underwood di The House of Cards che soleva rivolgersi allo spettatore spiegando come avrebbe fatto fuori gli avversari alla Casa Bianca con sarcastico candore e masticando costolette.

Marinelli è padrone della grande scena, restituisce il giusto grottesco a un personaggio già caricaturale per nascita ed evoluzione, selvaggio e vinto, di fianco molle e carico a pallettoni sempre, con qualunque gonnella. Se i primi due episodi sono da considerare un banco di prova, la serie merita la promozione piena.

Lo stile è aromatizzato al gusto fumettistico, per tagli di sbieco e veloci movimenti macchina, sullo sfondo polveroso di un’Italia postbellica che sembra Gotham City, fotografata da Seamus McGarvey (che ha dato luce anche ai Marvel – guarda caso – e con Wright ha lavorato in diversi film) e ci regala un Mussolini che a tratti ricorda il Pinguino di Batman e un po’ lo sceriffo di Nottingham (quello di Alan Rickman). D’Annunzio, irresistibilmente retorico anche nel momento delle bombe su Fiume, è un quadro d’epoca corredato anche delle sue leggende erotiche.

Mescolare, teatralizzare, riportare alla modernità è il valzer continuo della serie ritmata dalla musica dell’ex Chemical Brothers, Tom Rowlands, che insaporisce d’elettronica un pezzo di secolo, così come aveva fatto in modo sublime il Soderbergh di The Knick giocando sui suoni audaci di Cliff Martinez. Meno convincente la performance di Barbara Chichiarelli, nei panni dell’audace Margherita Sarfatti, che manca di quel carisma che l’amante di M. si diceva avesse. Di carisma, invece, la serie ne ha tanta e se questo è l’antipasto, aspettiamo di consumare tutto il fiero pasto.