Se le temperature resteranno dicembrine, c’è da scommettere che più d’uno rinuncerà alle lunghe sedute a tavola per un programma alternativo molto più domestico. Finirà sul divano, col telecomando in mano, le pantofole allineate, a guardare fuori senza invidiare chi al tramonto, con i resti del barbecue in pancia, finirà in coda sulla super strada a sperare che il serpentone, quel misterioso fenomeno che crea code senza alcun motivo scientificamente ragionevole, finisca alla prossima curva. Per loro, gli indomiti, gli integralisti seriali, quelli che dal cuscino non si  schioderebbero per nulla al mondo se non per prendere una birra dal frigo (forse), che al bis di pancetta preferiscono un hamburger a domicilio, è dedicato questo "menù" speciale.

Succession, la serie capolavoro all’ultimo atto

Il gran finale della saga della famiglia Roy, rimasta in sospeso per due anni in attesa dell’ultimo atto, è in programmazione su Sky Atlantic. Finalmente e peccato. Finalmente perché parliamo di “Succession”, un gioiellino d’assoluta perfezione stilistica, sontuoso in ogni aspetto, dove anche gli opening credit sono eccezionali e la colonna sonora dà dipendenza vera al primo ascolto. Peccato perché la storia si conclude qui e non ci sarà ritorno. In quattro stagioni nulla di questa opera non ha convinto: non un dettaglio, non una puntata è apparsa claudicante o un personaggio troppo opaco o una storyline fuori luogo o debole; non un’inquadratura è stata ingenua o un guizzo è parso di troppo. Il leone Logan Roy e la corte dei suoi quattro figli che agognano un posto nel cuore e nella società del tycoon, è il nucleo di una storia a sfondo finanziario con una vena di grottesco molto raffinata, dettaglio di un insieme cesellato con grande cura e straordinario talento. Adesso, al capolinea, sapremo cosa ne sarà di quest’uomo dalle spalle curve, fine stratega, comunicatore dall’animo inaccessibile, scozzese col cuore più duro di un diamante, affarista cinico dal naso sopraffino per gli affari ma meno per gli affetti.

Fleishman a pezzi, un requiem per due

Le arie sono quelle newyorchesi, vagamente alleniane. Tira un’aria da marciapiede e red bricks, di parchi distesi su grandi aree nel cuore di una Manhattan piena di soldi e infelicità e di nevrosi balbuzienti. Più ci si sposta dal baricentro del benessere economico, più si arriva in quei sobborghi sonnolenti, tutti barbecue e giardino con amaca e confezione da sei di birre in fresco (da ingollare una via l’altra), dove si costruiscono le famiglie che della città non ne possono più, per poi rimpiangerla a vita. Lì ha trovato radici Libby, la migliore amica di Toby Fleishman, un dottore, che non se la passa più tanto bene. Il suo matrimonio con l’algida Rachel si è sgretolato pezzo a pezzo, e adesso lui non sa più che diavolo di fine abbia fatto. Se lo chiedono anche i due figli, costretti ad adattarsi alla routine di un padre confuso e – forse – ancora innamorato. Su questo canovaccio Taffy Brodesser-Akner cuce l’adattamento televisivo del suo omonimo romanzo che ricostruisce non solo i frammenti di un cuore infranto, quello di Toby, ma anche i segmenti di una storia che è un puzzle in 3D, dove c’è un retro sorprendente. Conosciamo prima il dottore, timido, sfortunato, incompreso, mangiato vivo da una moglie che la vita e il successo hanno cambiato, trasformandola in una strega avida e fredda. Poi, a mano mano che si gira la costruzione, ecco che il punto di vista cambia, mutano le luci, la prospettiva. Lì si affaccia la versione di Rachel che capovolge gli animi e il giudizio di chi guarda. A unire i due lembi di un tessuto sfilacciato c’è Libby, scontenta ma non troppo, innamorata ma non troppo, sempre insicura di sé a cui l’autrice dà il compito di intrecciare le malinconie di tutti. L’incipit un po’ ballerino di questa miniserie (la trovate su Disney+) potrebbe scoraggiare un po’, ma d’improvviso la miniserie prende il largo e compie la magia di confondere, mescolare, convincere per davvero che quando un matrimonio si spezza, due sono le campane che suonano il requiem.

“Il racconto dell’ancella”, la quinta stagione dei miracoli

Nel carnet delle serie in odore di finale c’è anche “Il racconto dell’ancella” (The Handmaid’s Tale) giunto alla penultima porta prima dei saluti. La quinta stagione, in streaming solo su TimVision (su Amazon Prime le puntate appaiono solo come anteprima) è un crescendo di soddisfazioni. Dopo le violentissime prime stagioni, il ribaltamento di alcuni ruoli regalerà il sapore dolce e freddo della vendetta. Ovviamente basta poco a ribaltare punti di vista che sembravano ferrei e inamovibili. La robusta sceneggiatura che sostiene la serie e s’appoggia sulle spalle di Elisabeth Moss (che interpreta June) è capace di miracoli. Non c’è da stupirsi se un’emozione non da poco arriverà proprio per qualcosa di inaspettato. Il resto vale la pena vederlo e non leggerlo, aspettando l'epilogo.

“Your honor” non scivola sulla seconda stagione, anzi

Nonostante i tentativi italiani di rosicchiare una bella serie come “Your honor” (è su Paramount), per fortuna il buon nome della storia creata da Peter Moffat mantiene la rotta bene anche in una seconda stagione per alcuni tratti forse migliore dell'incipit. La storia in breve: nel primo atto vediamo Michael Desiato, un giudice rispettabile (lo interpreta Bryan Cranston), vedovo e padre amorevole di Adam, giovane introverso. Un incidente e un’omissione di soccorso cacceranno il giovane nei guai, anche perché a morire investito da Adam è il figlio del boss della città: Rocco Baxter. Questo porterà l’integerrimo giudice a convincere il figlio a non costituirsi, nel terrore di ritorsioni. Nella seconda stagione vediamo cosa succede al giudice qualche tempo dopo le vicende tragiche in cui l’avevamo lasciato a galleggiare nel finale di stagione del primo atto. Senza anticipare nulla, soprattutto per chi vuole recuperare la serie per intero, si può dire che il seguito non deluderà. Anzi.