Da Lars Von Trier a Curon, ecco una carrellata di opere che tra il dramma, l'azione e l'attesa, raccontano il peggiore degli scenari senza dimenticare la tenerezza
La fine del mondo in dieci film postapocalittici: così il cinema racconta il futuro
La fine del mondo in dieci film postapocalittici: così il cinema racconta il futuro
La fine del mondo in dieci film postapocalittici: così il cinema racconta il futuro
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La fine del mondo in dieci film postapocalittici: così il cinema racconta il futuro
Poul Anderson non ne ha voglia, ma gli tocca fare un salto nel tempo per inventare una formula che aiuti un gruppo di astronauti a ritornare, dopo un rimpicciolimento, a dimensioni umane. Così comincia un racconto di Philip K. Dick, "Pulce d'acqua". Il protagonista della storia, scritta dall'autore di "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" e "Ubik", si trova in questo modo a partecipare a un convegno di Precog cioè scrittori di fantascienza, considerati dei veggenti, e scambia due parole anche con Ray Bradbury, A. E. van Vogt, Murray Leinster e con lo stesso Dick che si autocita nel suo stesso racconto. Che gli autori sci-fi abbiano anticipato spesso il futuro, è cosa nota, quasi inquietante, tanto che qualcuno ha anche azzardato a chiamarli "viaggiatori del tempo". Morgan Robertson, alla fine dell'Ottocento scrisse un romanzo in cui prevedeva, con dovizia di particolari, l'affondamento del Titanic e, agli inizi del Novecento, persino Pearl Harbor e la bomba atomica poi sganciata su Hiroshima e Nagasaki.
Leggi anche ↓ Il viaggiatore del tempo | La storia di Robertson, lo scrittore che predisse la sventura del Titanic e la bomba atomica sul Giappone di Alessia PrincipeGli impianti immaginifici degli autori sci-fi, da invenzioni pseudoscientifiche sono diventati, spesso, realtà concreta del presente. E anche il cinema non ha lesinato su predizioni fantascientifiche o disastrose (poi diventate cronaca vera), condensate nel genere post-apocalittico declinato come drama autoriale, prodotto commerciale (e ultracommerciale) o chicca festivaliera. (clicca avanti per continuare a leggere)
Lars von Trier non ha mai fretta. Scrive i suoi film con pazienza e lentezza, la stessa che ama mettere nelle scene ultra-slow di cui è maestro, cesellate come dipinti fiamminghi. Anche in Melancholia, che vede nel cast anche una delle sue muse, Kirsten Dunst, la distopia è sciolta nelle lunghe sequenze oniriche che aumentano il senso di angoscia e straniamento della protagonista. Davanti a un disastro inevitabile, la collisione con il pianeta Melancholia, seguiamo il crollo psicologico di una neo sposa, infelice e preda di turbamenti interiori che come un mare in tumulto, le levano la gioia dall'animo. In mezzo il rapporto conflittuale con sua sorella mentre intorno la Terra trema e attende la sua fine al chiaror di luna. (clicca avanti per continuare a leggere)
In una Los Angeles battuta dal sole della West Coast, Brad si prepara un caffè e saluta la moglie Lexi che esce per andare al lavoro. In poche ore una nube tossica invade la città, creando il caos. La voce di un radiocronista scandisce il ritmo del film, in cui il protagonista, non fa che avvitarsi nella propria angoscia fino a scegliere di salvare sé stesso (e solo sé stesso), sigillandosi nella propria casa lasciando fuori anche la sua compagna. Diretto da Chris Gorak e presentato al Sundance Festival nel 2006, il film è una riflessione su come il panico generi mostri e su come, a volte, quei mostri finiamo per esser noi. (clicca avanti per continuare a leggere)
Dal romanzo capolavoro di Cormac McCarty "La strada", il regista John Hillcoat firma un film all'altezza del libro da cui è tratto. Un padre e un figlio, in un mondo abitato da cannibali e devastato da una non precisata catastrofe che ha reso il pianeta un luogo ingoiato da un inverno perenne, attraversano gli Stati Uniti alla ricerca di un posto migliore dove vivere, difendendo con le unghie e con i denti i loro unici averi stipati in un carrello della spesa. Il film con Viggo Mortensen e Charlize Theron, è decisamente uno dei migliori del genere. Poetico, straziante e crudo nella descrizione di un’umanità che ha perso ogni empatia in nome della violenta sopravvivenza, regala quadri straordinari grazie anche alla scelta di girare nei luoghi colpiti dall’uragano Katrina. (clicca avanti per continuare a leggere)
L'aria sulla Terra è diventata tossica e l'umanità, per sopravvivere, ha lasciato in massa il pianeta traslocando su una elefantiaca stazione spaziale in orbita intorno a "Io" un satellite di Giove. Una ragazza, però, decide di non partire. Si chiama Sam Walden, figlia di quel Henry Walden che aveva previsto la catastrofe in tempi non sospetti e poi sostenitore di una possibile rinascita del pianeta dopo il disastro. Netflix ha prodotto e distribuito questo film nel 2019 (nel cast Margaret Qualley poi vista in "Maid") che pur essendo un post-apocalittico è una storia delicata, semplice, senza fuochi d'artificio, che indaga il rapporto tra una figlia e suo padre e l'amore per una Terra che, come una madre, non si vuole abbandonare anche a costo di morire. (clicca avanti per continuare a leggere)
Non c'è più speranza, la Terra è spacciata: un asteroide punta dritto contro il nostro pianeta non lasciandoci scampo. L’umanità ha solo tre settimane di vita davanti a sé e la popolazione reagisce all'ultimatum dandosi allo sciacallaggio, all’autolesionismo e a un folle delirio festaiolo. Per Dodge (Steve Carell), però, poco o nulla sembra cambiato fino a quando, abbandonato dalla moglie, decide di rintracciare il suo primo e vero amore perduto: Olivia. Raggiante, come non era mai stato prima, rompe la routine della sua grigia esistenza e si mette sulle tracce della donna con l’aiuto dell’amica Penny. Lorene Scafaria, che qui firma regia, soggetto e sceneggiatura, ribalta i punti di vista, regalando al suo protagonista la speranza proprio quando tutto sembra perduto, fedele all’adagio: meglio tardi che mai. (clicca avanti per continuare a leggere)
La tristezza, l’ira, la paranoia fanno svanire i sensi, uno ad uno. Il primo a scomparire è l’olfatto, seguito da gusto, udito e vista. In un mondo che, piano piano, diventa abitato da silenziosi fantasmi, si incontrano un cuoco (Ewan McGregor) e una scienzata (Eva Green). La condanna per l’umanità è la peggiore che si possa immaginare, e provare a immedesimarsi, anche per un attimo, nei protagonisti è cadere in un baratro da cui si esce totalmente straniati e smarriti. Spira, nel film di David Mackenzie (presentato al Sundance festival nel 2011), il vento di “Cecità”, il capolavoro di José Saramago. (clicca avanti per continuare a leggere)
Uno dei migliori di Alfonso Cuarón, è un post-apocalittico con Clive Owen e Julianne Moore. Tratto dal romanzo distopico di P.D. James, il film è ambientato in un futuro alle porte (siamo solo nel 2027) in cui non nascono più bambini. Le città sono scenari post-atomici in cui la guerriglia perenne, stermina i sopravvissuti e tinge di grigio ferroso la pellicola girata a tratti con uno stile documentaristico e qualche piano sequenza davvero memorabile. La speranza dell’umanità è riposta nel grembo di una giovane madre, che come una Madonna sdrucita e spaventata, lotta per far venire alla luce la sua bambina, unica possibilità della Terra di rinascere dai detriti della disperazione in cui galleggia. (clicca avanti per continuare a leggere)
"Dont' look up", cast stellare (Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep), argomento molto à la page: i social, i negazionisti, il gossip, l’infotainment che deride con i denti brillanti di faccette di porcellana tutto quello che non entra in una tazza brandizzata, crea mostri e divi e un popolo di esauriti che scrolla i facebook per litigare sotto ai post. Chi vede "Don't look up" e ride, sa di ridere anche di se stesso. A fronte di un pericolo vero, imminente, reale, concreto, incontestabile, c'è sempre una priorità inutile che sale i gradini della gerarchia del nostro interesse più in fretta. La priorità sono i gattini da venti milioni di visualizzazioni che capitombolano su Youtube, le notizie sulla vippanza che si prende a Crystal in faccia in vacanza a Dubai. Tutto porta verso il sentiero dell'idiocrazia, della socialpatia, dell'apparenza che diventa importante solo perché qualcuno ha girato un link su whatsapp. (clicca avanti per continuare a leggere)
Per molti versi ricorda da vicino "The Road" questo film in cui Casey Affleck dirige e si ritaglia un ruolo cucito alla perfezione sul suo stile interpretativo sempre molto minimo. Casey (e in “Manchester by the sea” l’ha ampiamente dimostrato) ha questa straordinaria capacità di tagliarti in due senza muovere un muscolo. In questo film è un padre che cerca di proteggere sua figlia Rag da un mondo devastato in cui le donne rischiano l’estinzione. «Credo che il gran numero di film post-apocalittici prodotti negli Usa sia legato a una tensione sotterranea, alla sensazione dell'arrivo imminente di un destino tragico - ha detto Casey Affleck in un'intervista -. Una tensione che esiste per buone ragioni, direi. Non volevo scrivere una metafora dei nostri tempi, ma raccontare in modo impressionista cose a cui tengo». (clicca avanti per continuare a leggere)
Qui Steven Soderbergh gioca a fare la Cassandra (considerando quello che tutti sappiamo essere realmente accaduto con il Coronavirus), e lo fa in modo impeccabile, costruendo un perfetto disaster movie a sfondo ambientalista. Un virus si diffonde da una cucina di Hong Kong, spandendosi in tutto il mondo senza che gli scienziati riescano a fare in tempo per arginarlo, creando occasioni succulente per blogger, sostenitori del complotto planetario, in cerca di notorietà. L’uomo, distrugge la natura, la natura distrugge l’uomo. Questo il nucleo del plot. Tragica parabola con un cast stellare: Gwyneth Paltrow, Marion Cotillard, Matt Damon.
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