Il kolossal sull’affondamento del celebre transatlantico ritorna al cinema per celebrare un anniversario a 101 anni dalla tragedia che costò la vita a 1600 persone. Dal provino a Di Caprio all’esordio in Giappone, ecco com’è nato un successo che non si è mai inabissato (tranne a Napoli)
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Sono trascorsi 25 anni eppure sembra di vedere ancora le locandine fresche di stampa appese davanti ai cinema con gli orari degli spettacoli. Il “Titanic” è la nave dei sogni di ogni produttore cinematografico. Dopo un mese dall’uscita americana, sbarcò in Italia trovando un porto sicuro e 50 milioni di euro di incasso, più un posto assicurato nei palinsesti televisivi che ancora registrano picchi di share quando viene messo in programmazione.
Quando il kolossal debuttò, a Hollywood qualcuno sulla sedia non si sentiva affatto comodo perché se il film non avesse coperto almeno i costi di produzione, che non erano proprio due briciole, qualche testa sarebbe caduta. Ma nessuna ghigliottina si abbatté dalle parti della 20th Century Fox e della Paramount che oggi non hanno ancora finito di contare il miliardo e 800milioni e 300mila dollari che ha incassato il film in tutto il mondo.
Quando DiCaprio fu messo alla porta
Cameron aveva inseguito quel progetto a lungo, l’aveva sognato, ne era ossessionato e quando gli Studios gli dissero: «Ok Jim, facciamolo», cominciò a pensare al cast. Leonardo DiCaprio aveva 20 anni, s’era assicurato uno spazio sulle pareti di milioni di camerette dopo l'interpretazione in “Romeo+Giulietta” di Baz Luhrmann, e di “Titanic” non ne voleva sentire parlare. Gli arrivò la proposta in mano in un pomeriggio d'inverno e come prima reazione scosse la testa e disse qualcosa come: «Non so, Jack è troppo sdolcinato. Non voglio un altro Romeo, adesso ho bisogno di un ruolo impegnato, duro».
Fu Cameron a convincerlo e lo fece al modo appassionato con cui era riuscito a persuadere i capi delle major a dargli un bel gruzzolo per raccontare la tragedia che il 14 aprile del 1912 era costata la vita a 1600 passeggeri. Quello che tutti chiamavano il "golden boy" di Hollywood, aveva qualcosa che lo rendeva perfetto per la parte del passeggero infiltrato di terza classe Jack Dawson, l'artista bohémienne che saltava da una nave all'altra, viveva da girovago e per guadagnarsi un tozzo di pane ritraeva a carboncino le prostitute parigine.
La delusione di Matthew
La produzione premeva per Matthew McConaughey, che aveva già superato la fase degli screen test. Cameron non era ancora convinto, prese tempo e chiamò per un colloquio DiCaprio che aveva stregato Agnieszka Holland (che l'aveva voluto per "Poeti dall'inferno"), per schiarirsi le idee. La chiacchierata andò molto bene e DiCaprio fu convocato il giorno dopo per un altro incontro. Appena arrivato nel suo ufficio, Cameron gli venne incontro a braccia aperte e gli comunicò che nell'altra stanza tutto era pronto per il provino.
«Credevo che le cose fossero già a posto» si lamentò l'attore. «Non farò il provino».
Cameron si sistemò meglio sulla sedia e scelse con cura le parole. Non voleva farlo scappare ma neanche lisciare troppo il suo ego. «Ascoltami bene - attaccò - ho in mano più di 100 milioni di dollari per realizzare un film che mi prenderà due anni di vita e a cui lavoro da almeno dieci. Tu farai altri cinque film mentre io me ne starò in una stanza a lavorare alla post-produzione di questo, capisci quanto è importante che ti veda come Jack, adesso?»
«Non faccio provini Jim, lo sai» replicò secco DiCaprio.
Cameron alzò le spalle e guardò verso porta soffocando la frustrazione. Adesso non voleva altri che lui, ma doveva essere certo che non fosse un abbaglio, la posta in gioco era troppo alta. «Non posso rischiare di rovinare tutto per una scelta poco accorta - e gli allungò una mano per salutarlo -. Grazie per il tuo tempo». Nella stanza calò il gelo. L'attore s'alzò e si fermò sulla soglia, stordito, sorpreso. Balbettò qualcosa e poi piegò la testa da un lato scrutando in quegli occhi sottili, da furetto che gli dicevano: o fai come dico io o su questa nave non ci sali. «Vuol dire che se rifiuto, esco di qui e finisce tutto?» chiese.
Se Cameron stesse bluffando non si saprà mai. «Proprio così» fu la risposta.
Intanto nella stanza andavano e venivano tutte le donne della produzione, dalla segretaria di edizione alla commercialista che con una scusa si mise in un angolo a fare decine di fotocopie. DiCaprio era furibondo ma non muoveva un passo. Poi strinse la mascella e disse: «Va bene» ma diamine se voleva aggiungere dell'altro. Prima che la camera attaccasse a registrare, aveva l'aria di uno che avrebbe preso a pugni una porta. Poi Cameron disse: «Azione!» e Leonardo DiCaprio fece spazio a Jack Dawson e lì dentro ci restò per molto tempo.
Kate Winslet detta "Kate corsetto"
Per il ruolo di Rose era in ballo la diciannovenne Kate Winslet, detta “Kate corsetto” perché aveva alle spalle alcuni film in costume. Cameron credeva che per la parte fosse più adatta Gwyneth Paltrow, temendo l’effetto polveroso che la presenza di “Kate corsetto” avrebbe dato al film. Accettò comunque di provinarla. Ma c’era solo un modo per capire se fosse lei la Rose DeWitt Bukater (meglio scriverlo che pronunciarlo) che detestava le convenzioni ma non riusciva a gridare così forte da spaccare il muro delle buone maniere laccate e porcellanate della buona società: doveva entrare nel suo corpo e salire sul Titanic.
Cameron ordinò di montare per il provino una cinepresa da 35 mm, niente camere digitali, e fece allestire un piccolo set. Kate fu truccata, acconciata e vestita come se stessero per girare sul serio. Accanto a lei, nella parte di Jack, provò Jeremy Sisto (volto di Thirteen). «Sai fare l’accento del Mid-Atlantic?» le chiese il regista. «Ti va bene se parlo così?» rispose lei con una perfetta inflessione inglese d’importazione, da alta borghesia americana. «Perfetta».
Il battesimo giapponese
Sono le cinque del pomeriggio a Tokyo di un tranquillo primo novembre 1997, nel quartiere alberato Shibuya le luci dei lampioni illuminano le sagome di decine e decine di ragazzi che aspettano che si aprano le porte del Tokyo’s Orchard Hall Theater. C’è un grande cartellone che annuncia una premiere mondiale, quella di “Titanic” in anteprima al Tokyo International Film Fest. I più giovani hanno ancora addosso le uniformi blu, sono usciti da scuola e si sono piazzati sulla strada sperando di trovare qualche biglietto ancora disponibile, qualcuno ha saltato le lezioni e passato lì tre notti all'addiaccio. Tutto pur di vedere da vicino Leonardo Di Caprio, il nuovo divo d’Occidente. Il giovane diciassettenne Nao Yamada, è sconsolato e racconta la sua delusione ai giornalisti che gironzolano lì davanti. Contava di arrivare ore prima ma in ospedale l’avevano dimesso solo a mezzogiorno. L’attesa cresce, le limousine arrivano. Di Caprio scortato da quarantanove guardie del corpo, infila una via laterale e viene spedito dentro al cinema senza passare per le transenne su cui premono i fan. Alla fine della proiezione un lunghissimo applauso battezza un film che sarà tra i più fortunati della storia del cinema, un film da 11 Oscar (tra cui miglior film e miglior regista, e qualcuno ricorderà l’urlo, un po’ cringe di Cameron che con la statuetta in mano grida «Sono il re del mondo»).
Via gli ormeggi, si torna in sala dopo 25 anni
C’è chi confessa oggi, anche i più insospettabili cinephile, di essersi messo più volte in coda per vedere e rivedere "Titanic" in quel lontano 1998, e di fermare ancora lo zapping in tv se per caso compare il bellissimo volto rugoso di Gloria Stewart (con la voce italiana della favolosa Wanda Tettoni) che pronuncia le magnetiche battute: «Sono trascorsi 84 anni, e ancora sento l’odore della vernice fresca, i servizi di porcellana non erano mai stati usati, nessuno aveva mai dormito tra quelle lenzuola. Il Titanic era chiamato la nave dei sogni, e lo era, lo era davvero».
Il film oggi ritorna nei cinema di tutto il mondo in versione 4k, pronto a macinare altri record. Il finale non cambierà. Meglio dirlo subito. Sulla zattera di Rose, Jack non salirà e poco importa se lo stesso Cameron, ha dovuto ammettere, sconsolato, che dopo un’analisi commissionata ad hoc, lo spazio per tutti e due c’era. Ormai quello che è fatto è fatto. La grande rentrée permetterà a chi era troppo piccolo nel 1998, di goderselo per la prima volta al cinema grazie anche al Dolby Atmos che darà all’audio una veste nuova e più piena.
Il Titanic è l’Everest dei naufragi
Il dramma marino di Cameron è figlio della grande passione del regista per gli abissi e per il disegno, suoi sono i ritratti che Jack porta con sé e sua è la mano che vediamo tratteggiare la figura di Rose nuda con il cuore dell'Oceano al collo. «Dieci anni prima di diventare regista, ho iniziato a immergermi nell’oceano – ha raccontato in un’intervista -. Centinaia di migliaia di ore nei mari di tutto il mondo. Con Titanic ho messo insieme due passioni, quella per la narrazione e il mio amore per la tecnologia e l’esplorazione dell’oceano». Per Cameron il Titanic era l’Everest dei naufragi, così disse ai produttori quando ottenne un colloquio con Peter Chermin, pezzo grosso della 20th Century Fox. Chermin si lasciò convincere, letteralmente fu rapito dallo script, ma il budget indicato per realizzare il film faceva davvero paura.
«Quando ho dato il via libera, ero consapevole che sarebbe stato il film più costoso mai realizzato – ha raccontato lo stesso produttore qualche anno fa -. E pensare che abbiamo persino superato il budget di 105 milioni di dollari!». Dalle prime settimane di riprese fu subito chiaro che l’impresa stava assumendo il profilo del possibile incubo. Se le cose fossero andate male, la carriera di Cameron sarebbe andata a fondo, proprio come il Titanic. «Quando ho capito che piega stava prendendo tutto, avevo tre alternative – raccontò Chermin -: buttare tutto, e sarebbe stata una cattiva idea da 140 milioni di dollari; sostituire il regista, anche questa sembrava una cattiva idea. Oppure provare a rendere il film fantastico. E mi è sembrato chiaro che l’unica speranza fosse renderlo grande». Una scelta saggia.
L'inaffondabile D'Alessio
In America “Titanic” arriva nel dicembre del 1997, in Italia il 16 gennaio 1998. Si fanno carte false pur di guadagnarsi un posto, anche in piedi, nei cinema strapieni. Il film resta in cartellone per settimane ed è il più visto nel primo week end di programmazione in tutto il Paese tranne a Napoli dove in sala c'è “Annarè” di Ninì Grassia che affonda il Titanic di Cameron non con un iceberg ma con Gigi D’Alessio.