La fantascienza delle piccole storie è cosa assai rara. Al cinema e in televisione è abitudine creare cose roboanti, ricche di contenuti distopici, dove il dramma e l’angoscia sono segnati dalla parabola di un eroe sporco in viso, costretto a nascondersi, scappare tra raggi gamma e pianeti rotanti. Ci sono i cattivi, organizzati e in truppe scintillanti, che gli danno la caccia fino all’epilogo che si consuma nel crescendo orchestrale. Luci, schermi, cieli immensi, sguardi all'insù. E invece ecco che arriva “Il canto del cigno”, un film AppleTv+, con un magistrale Mahershala Ali per protagonista. L'opera è una piccola perla che brilla in un fondale pescoso.

Il futuro che vince il lutto

Sì, c’è il futuro delle macchine silenziose che viaggiano a un palmo dalla strada, ma le case sono di mattoni, gli interni delle cucine hanno taglieri in legno, carote da affettare, pianoforti discreti bagnati dalla luce che filtra dalle vetrate del soggiorno; le camerette per bambini sono tappezzate con la carta da parati disegnata a dinosauri, c’è un lume discreto che illumina il buio del sonno, i libri sul comò. È il futuro che potrebbe essere, che non entra a passi da gigante, ma per piccoli aggiustamenti.

Nel film diretto alla perfezione da Benjamin Cleary, non ci sono nemici, avversari vestiti a guerra, pistole puntate, nè sangue. C'è solo, banalmente, la morte, la fine. Quella inevitabile, quella comune, che ci svolazza sulle teste in ogni tempo e a ogni latitudine.

Scegliere di restare indietro

E cosa succede quando un uomo, un uomo per bene, con una bella famiglia, un lavoro appagante, e tutta la vita davanti viene sfiorato dalla certezza che la sua esistenza è vicina al capolinea? Lui può scegliere: morire, dire addio a tutti, affrontare la collina della malattia e poi spegnersi nel dolore di sua moglie e suo figlio, oppure sostituirsi a una persona tale e quale a lui, creata a sua immagine e somiglianza, con il medesimo Dna, gli stessi ricordi, un carattere identico. In tutto e per tutto un altro sé. E questo per risparmiare alla sua famiglia, inconsapevole, la sofferenza del distacco, del lutto.

Il tema non è nuovo, anzi esiste un corto che fa parte della serie “Assolo”, in cui accade la stessa cosa. Ma qui la storia prende il volo, librandosi a poco da terra, il tanto che basta ad avviluppare in un guscio emotivo e di sospensione lo spettatore che entra, in punta di piedi, nella vita luminosa di Cameron Turner. Non ci sono spiegazioni, non servono, non si sa come in un luogo (laboratorio? Clinica?) immerso in una natura perfetta, si sia riusciti a effettuare il miracolo della clonazione; non ci sono computer ultratecnologici a vista, non c’è rumore, non c’è un villain che trama nell’ombra, c’è solo la scelta di un uomo che deve decidere se restare indietro, farsi da parte, rinunciare al frammento di tempo che gli resta da trascorrere con i suoi affetti per rimanere a guardare da lontano la vita che continua senza di lui.

Delicato e potente, il film scritto e diretto da Cleary, incide in profondità sussurrando all'orecchio e commuove fino alle lacrime nella sua semplice rappresentazione di un dramma vissuto con discrezione e grande dolore personale, di quello che ti spacca dentro ma resta nel petto. Il conflitto è solo interiore ma è così forte che deflagra ma poco a poco, esplodendo nel finale. Nel presente come nel futuro resta sempre lo stesso scoglio che ferma la nuotata in mare aperto, così alto e spinoso che non puoi che appoggiarci la schiena e prendere fiato, chiudendo gli occhi.