Certi ritratti di famiglia sembrano assomigliarsi tutti: c’è la torta in primo piano da non toccare neanche con la punta del dito; qualcuno che invita a sbrigarsi, altrimenti la cera calda sporcherà la panna. La credenza dietro riflette il flash, si stira un sorriso, l'abbraccio è goffo, quasi innaturale; la stasi del momento cristallizza tutto a futura memoria. Ma le famiglie non sono tutte uguali, c’è la famiglia e c’è la familia dove qualcosa manca, è caduto; nel suono, nella pronuncia, nell’empatia.

Francesco Costabile è regista anomalo e audace: sceglie storie vere - terreno sdrucciolevole - riuscendo a dipingere la malvagità con toni originali e caravaggeschi: luci forti, oscurità persistenti. La sua scena diventa un teatro amplissimo, in cui l’odio echeggia fino all’ultima poltrona della sala, pur mantenendo l’obiettivo talmente stretto, da poter udire il respiro dei personaggi. Lo stesso regista cosentino, come orgogliosamente specifica dal palco bruzio del cinema Citrigno che ha ospitato la sua proiezione speciale, spiega perché ha scelto di discostarsi dal titolo del romanzo da cui la storia è tratta, “Non sarà sempre così”, battuta che nel film torna tra le parole di una giovane che tenterà di trarre in salvo l’anima di un ragazzo perduto, vittima come il fratello e la madre, delle violenze di un uomo dall’animo pericolosamente cangiante.

«Familia è tratto dal latino e richiama la figura del Pater Familias, colui il quale aveva diritto di vita e morte su moglie e figli. E questo perché la tossicità del patriarcato è qualcosa che si trasmette da secoli». Così descrive il veleno di un sentimento antico, disseminato nell’aria in spore velenose e invisibili, persistenti.

La parte più intrigante del film riguarda il confronto tra il male e le sue conseguenze: male che ha il volto di Francesco Di Leva, il migliore in campo in un cast che vede Barbara Ronchi e Francesco Gheghi ottimi interpreti. «Ho avuto accesso ai documenti reali del caso – ci racconta Di Leva – ed è stata dura leggere alcuni dettagli della vicenda. Calarsi in un personaggio del genere non è semplice, devi attingere dall’oscurità, farla tua e poi, alla fine, lasciarla andare via. Io ne sono uscito, per fortuna».

Il nero ha talmente pervaso l’animo di Franco Celeste, da renderlo, per sua stessa ammissione, irrecuperabile. «Non mi puoi cambiare, nessuno può» dice a suo figlio Luigi. E in questa confessione si consuma tutto il dramma che si declina nelle violenze, ripetute; nei pochi lampi di normalità, spezzata per un nulla; nella speranza che stavolta sarà diverso e, invece, non è mai così.