Partenza davvero in sordina per la mega produzione Hbo che racconta le vicende della famiglia Targaryen. Non convince neanche la saga del Signore degli anelli su Amazon Prime Video
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Tanto fumo e poco fuoco. Parlando di una storia di draghi non è un dettaglio trascurabile. Hbo, ha presentato dopo tre anni dalla conclusione della sua saga più famosa, Trono di Spade (Got), un prequel travagliato per genesi e debutto. Subito dopo che le ceneri su Westeros s’erano raffreddate, immediatamente il colosso televisivo ha dato ordine di strappare una costola da un Adamo ingombrante e farne un altro successo planetario. Milioni di fan da tutto il mondo aspettavano di tornare nei Sette regni, e l’occasione di marciarci su era troppo ghiotta (e potenzialmente remunerativa) per lasciare che quel finale, tanto discusso da aver portato a una petizione online da milioni di adesioni, fosse davvero l’ultimo atto.
Bloodmoon, la serie che non è stata
Si tornò sul set pochi mesi dopo, a cadavere Targaryen ancora caldo. Il progetto aveva come titolo provvisorio Bloodmoon e qualche scena del pilot venne anche girata in Italia. Ma dopo la preview (molto ristretta, tanto che neanche lo scrittore della saga fu invitato a vederla) la produzione disse no, questo non funziona, cancellatelo. Niente draghi, niente prequel. E trenta (sì, trenta) milioni di dollari finirono in fiamme. Dracarys.
George R.R. Martin, la penna d’oro, il creatore dell’universo letterario di Got e dintorni, disse in proposito: «Bloodmoon è stato un progetto molto difficile. C’era un popolo molto più primitivo. Non c’erano ancora draghi. Gran parte del pilot ruotava attorno al matrimonio di un casato del sud con un casato del nord e si addentrava in temi molto importanti della storia degli Estranei».
La successione sbiadita
Si volta pagina. Arriviamo a House of the Dragon. La vicenda si avvicina temporalmente un po’ di più agli eventi di Got rispetto al prequel gettato nell’immondizia. Parliamo di meno di due secoli dalla nascita di Daenerys Targaryen, la madre dei draghi, uno dei personaggi più affascinanti della serie originale. Seguiamo così le vicende della dinastia dai capelli d’argento alle prese con una difficile successione. Il re, Viserys I, non riesce ad avere un figlio maschio e dopo la morte della moglie nomina (ad interim, in attesa di altre mogli e altri pargoli) sua figlia Rhaenyra (la cavalca draghi) come sua erede al trono di spade. Si parte da qui, da un padre tormentato, un regno inquieto, uno zio ambizioso e una ragazza che sa il fatto suo.
Qual è il problema
Questo il tessuto imbastito a filo largo nelle prime puntate (in onda ogni lunedì su Sky Atlantic e la domenica notte in lingua originale). Il problema di questo prequel si può riassumere in breve: non funziona nulla. Il plot è poverissimo e gira intorno a pochi personaggi in cerca d'autore. Mentre la prima serie aveva regalato un inizio sfolgorante che da subito s’era immerso nell’azione per poi ordire la ricca trama intorno agli orli, HOD si muove goffamente in un’aria ferma, quasi stantia, tra vicende che sanno di già visto e trame lise, concentrandosi su un rapporto padre-figlia da teen movie. Tanti discorsi, tante attese, tante pause e tante parrucche (alcune davvero al limite del carnevalesco per non dire del ridicolo).
Dov’è la seduzione? Non c’è sesso, non c’è violenza, non c’è intrigo, non c’è un personaggio a cui affezionarsi e uno da odiare. Insomma la serie è una brodaglia tiepidissima. Stanno tutti in bilico, peggio, come aspettassero qualcosa o qualcuno per alzarsi e mettersi in movimento. I personaggi paiono pedine di un subbuteo dimenticato in soffitta. Fa tenerezza guardare draghi che, di tanto in tanto, volano nel cielo, ascoltare il tema musicale degli opening credit che stuzzica la nostalgia (anche se le animazioni della sigla non sono all’altezza dei meccanismi inventati per quella di Got), cercare riferimenti anche indiretti (easter egg) alla golden season, quando l’appuntamento settimanale teneva il pubblico incollato col mastice al divano.
Ogni puntata di House of the Dragon è l’attesa di un decollo, ogni finale è un atterraggio d’emergenza. Nonostante la massiccia campagna stampa d’Oltreoceano, che ha portato (prevedibilmente) a registrare alti ascolti per le puntate d’esordio spingendo l'emittente a confermare una seconda stagione, la serie non carbura e anche da un punto di vista visivo qualcosa non va. La cura e quelle sporcature fotografiche da medioevo fantasy, sono messe da parte per una patinatura che appare a tratti fumettistica.
Insomma, prima di battere il ciak occorreva riflettere. C’erano due strade da intraprendere: lavorare sul sequel, che tra le vicende della neo regina del Nord, l’esilio di Snow e il viaggio per mare di Arya, avrebbe davvero aperto orizzonti stuzzicanti, oppure lasciar perdere. Tutto meglio di quello che stiamo vedendo, e viene da chiedersi se quel plot buttato nella carta straccia fosse poi così brutto.