Oggi, 232 anni fa, moriva l'eroina del cartone “Berusaiyu no bara” (Le rose di Versailles), nato dalla fantasia di Riyoko Ineda e che sbarcò in Italia nel 1982. La sigla dei cavalieri del Re finì in cima alle hit nazionali per settimane
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Il 14 luglio del 1789 mentre si scrive la storia che finirà nei libri e nelle enciclopedie, su una scalinata di pietra si consuma l’ultimo atto di un altro racconto. Il capitano delle guardie francesi è a terra, una scarica di colpi le ha crivellato il petto, ma i rivoluzionari sono passati, il varco è aperto, la Bastiglia avrà il suo destino. Ancora esce il fumo dalle armi dei fucilieri svizzeri del luogotenente Ludwig von Flüe, comandati dal marchese de Launay, ma per la fortezza non c’è niente da fare. E lei lo sa. Lei che ha passato una vita da comandante e aspetta una morte da rivoluzionaria, lei la vera Lady di ferro passata dall’altra parte perché al popolo non si poteva sparare, nata donna ma senza corsetto, nata Oscar François de Jarjayes ma senza Madamigella, nata di sangue e spada.
La censura
La sua morte, preceduta da quella di André Grandier, suo miglior amico d’infanzia e poi suo uomo, congelò una generazione di bambini per niente abituati a vedere l’eroe morire tragicamente. Ma su quello la censura italiana poco potè farci, era impossibile non mostrare il finale così atteso, mentre molto, al contrario, fece intervenendo su scene considerate troppo spinte o eccessivamente basate sul conflitto interiore di Oscar in bilico tra le due anime: maschile e femminile. Tagli furibondi ci furono anche sulle storie orizzontali, che fendono l’arteria principale del plot, un paradiso di personaggi straordinari e richiami al vero, tanto che riuscire a distinguere il reale dalla fantasia dell’autrice Riyoko Ikeda, non è così semplice.
Jeanne e l’intrigo della collana
Il famoso “scandalo della collana”, di cui si racconta in uno degli episodi più belli di Berusaiyu no bara (“Le rose di Versailles” il titolo originale dell’anime) è veramente accaduto. Motivo del contendere un preziosissimo monile destinato dal re Luigi XV alla sua cara amante, la duchessa DuBarry e che coinvolse, suo malgrado, la regina Maria Antonietta messa in mezzo da Jeanne de Saint-Rémy de Valois, contessa de La Motte, che finì in galeria, marcata a vita prima di una fuga ancora avvolta nel mistero. Gli sguardi, i dialoghi, le ambientazioni nulla hanno da invidiare ai grandi film in costume.
L’anime “Lady Oscar” è tratto da un manga di Riyoko Ineda, autrice di altri fumetti di successo, pubblicato per la prima volta per il settimanale Jyosei Seven nel 1973 e approdò in Italia solo nel 1982, trasmesso da Italia 1. In Giappone il cartone animato seguì l’onda del successo cartaceo e di quello teatrale.
Il film trash
Dall’anime venne tratto un esperimento di lungometraggio prodotto da una casa giapponese. Il film “Lady Oscar” ha un cast tutto occidentale e costò alla produzione un miliardo di yen. Siamo nel 1979 a sponsorizzare il film, diretto da Jacques Demy, è la linea cosmetica Shiseido mentre la protagonista ha il volto di Catriona MacColl diretta altrove e spesso da Lucio Fulci. I doppiatori italiani scelti sono gli stessi del cartone giapponese ma la pellicola assomiglia a un melenso adattamento di un romanzo Harmony: un minestrone di scene con una protagonista, di spada munita, cotonata all’inverosimile.
Biondi capelli e rosa di guancia
Torniamo all'anime. Ecco come cominciò tutto. Passo indietro. Facciamone due. Pioggia torrenziale sulla residenza del rigoroso capitano De Jarjayes. Siamo in Francia, è il 1755. Un padre urla di rabbia. È una femmina, una femmina. Quel neonato che piange gli è toccato in sorte come una beffa. Ma lui sa bene come vincere il destino. Guarda al cielo che schizza lampi e giura: «Vivrà come un uomo e si chiamerà Oscar».
Le sagome dei personaggi accentuate dai tratti snelli, dagli occhi allungati e dalle geometrie vergate nelle scene drammatiche, dai fotogrammi acquerellati alla fine degli episodi, conferiscono all’anime uno stile difficilmente dimenticabile. La voce fuori campo (in Italia quella del doppiatore Sergio Matteucci) spesso fa da Virgilio attraverso la fitta rete degli intrighi tessuti a corte che si fondono con la crescita di Oscar che dall’adolescenza varca la soglia dei trent’anni.
La sigla italiana più fascinosa è quella incastonata nella memoria dai “Cavalieri del Re”, per settimane ai vertici della classifiche dell’epoca, davanti a brani di cantanti storici della musica leggera italiana come Baglioni. Ma durante le puntate accarezzano drammi e combattimenti pezzi di classica di Bach (“Invenzione a due voci in Re maggiore” e Preludio), Jean Philippe Rameau (“La Dauphine”), Boccherini (“Minuetto”).
Sulle sponde della Senna
A fianco della regina Maria Antonietta, l’austriaca disprezzata dal popolo per le sue origini straniere e i suoi capricci, Oscar conosce le pene di una passione non ricambiata per il conte di Fersen, mentre André, pur di restarle vicino deciderà di arruolarsi tra le file dei soldati della Guardia in una Parigi pronta alla Rivoluzione. Sulle sponde della Senna, la notte prima della fatale presa della Bastiglia, Oscar e André finalmente si amano.
Moriranno entrambi sotto il fuoco dei fucili, a fianco di quel popolo che aveva appena conquistato la libertà. È il 14 luglio del 1789.