Le cicatrici che una guerra ti porta non sono solo quelle fisiche ma sono soprattutto quelle interiori, intime e psicologiche che non guariranno mai del tutto
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La vita al fronte, soprattutto per chi ci sta da più di un anno, è diventata davvero invivibile. Piccole pause fuori dalla linea rossa, con la tensione di dover essere esfiltrati senza sapere se quell’esfiltrazione andrà a buon fine. Una volta fuori si respira per un paio di giorni e poi si ritorna a capofitto sull’unico obiettivo «Difendere la propria Terra e i propri connazionali» assieme ad un’incognita costante «Ci sarà una prossima esfiltrazione?». Ma loro no, loro non mollano. Nicolas con cui mi scrivo è l’esempio di chi pur potendo mollare ha deciso di combattere fino in fondo. Non torna a casa dall’inizio del conflitto eppure, nonostante parli di stanchezza, tanta stanchezza deve e devono (parlando dei suoi amici al fronte) per forza di cose trovare la forza per non lasciarsi andare. La forza di chi, nonostante le borse sotto agli occhi per le notti insonni, continua a credere che arriverà la fine dell’incubo.
Così muovendosi tra le rovine di case ormai senza anima e prive di vita si spostano provando a staccare la tensione tra i ricordi ormai abbandonati di chi aveva investito una vita per guardare al futuro. Provano a sorridere aggirandosi tra le macerie con i carri armati o suonando qualche nota ‘stonata’ su pianoforti ormai ‘scordati’. Le cicatrici che una guerra ti porta non sono solo quelle fisiche, che in alcuni casi non guariranno completamente, ma sono soprattutto quelle interiori, intime e psicologiche, quelle cicatrici non guariranno mai del tutto. Così è giusto che ovunque ci si trovi, e parlo del fronte, è corretto che a far compagnia ci sia ancora la speranza, il sorriso e il desiderio di attaccarsi a qualcosa che proietti al di fuori di quell’inferno. Non si può mollare, non si può cadere e così anche sotto i continui bombardamenti si trova il modo di poter sorridere e scherzare.
Oltre a Nicolas ci sono storie di altri ragazzi come quella di Andriy, un soldato della 128a brigata separata d'assalto in montagna. Sembra che il suo nome in codice sia “Glamour”, perché all’inizio del conflitto indossava dei guanti tattici costosi e invidiabili, così è nato il suo nome in codice. Andriy sempre sul fronte ha attaccato molte volte, ha tenuto la difesa, ha distrutto personalmente un gruppo di nemici ed è stato ferito in un combattimento ravvicinato vicino a Bakhmut. Parlando correntemente l'inglese e stato uno di quei soldati che ha potuto seguire uno dei corsi di addestramento al combattimento in Gran Bretagna, sebbene prima dell’offensiva, non sapesse neppure cosa fosse l’Esercito. Ma a caratterizzare Nicolas e Andriy come altri ragazzi e combattenti è quell’ottimismo che a volte potrebbe sembrare inconsapevole, strano, fuori posto, ma non lo è. Al contrario è al posto giusto e li aiuta a sopravvivere.
‘Glamour’ cerca di rendere “allegro” anche ciò che mangiano e questo deriva dalla sua passione per la cucina, che gli permette di rendere ‘la sbobba’ al fronte più commestibile e saporita. «Le razioni dell'esercito sono un orrore assoluto! Ma quando ti siedi da qualche parte con il culo, devi mangiare questo mangime». Ha amato cucinare fin da ragazzino e dopo la scuola ha provato a mettere da parte questa passione cimentandosi in altro, ma lo psicologo, lo specialista informatico o il regista non facevano per lui. «Non ne è venuto fuori niente, perché vengo da una famiglia povera. Mio padre mi ha consigliato di imparare a fare il meccanico, e io ho accettato, ma dopo un mese ho abbandonato gli studi e ho portato i miei documenti al liceo culinario. Lì mi hanno chiesto come mai da un indirizzo di meccanica fossi passato all’alberghiero e la mia risposta è stata … perché quando cambio l'olio in macchina, mi viene la creme brulée». L’inglese lo aveva imparato con tanto di certificati, per lavorare sulle navi come cuoco, senza immaginare che gli sarebbe mai servito per seguire dei corso preparatori alla guerra.
Ora oltre a combattere in prima linea, Andriy prepara da mangiare per i suoi compagni e racconta «i ragazzi mi hanno fatto un complimento originale dicendomi che con la cuoca precedente non potevamo andare in bagno per diversi giorni, ma con te possiamo anche due volte al giorno» accompagnato da un sorriso. Così spiega come per lui la cucina migliore sia quella ucraina, perché semplice. Ma su quella dell’Esercito ha da ridire «È orrenda, non posso dire diversamente. Cibi secchi, prodotti in scatola. A volte cucino per i ragazzi quando ne ho la possibilità. La selezione dei prodotti è piccola, quindi qualcosa di semplice: stufato di carne con verdure, cotolette, crostini con uova e aglio. Oppure friggo le patate alla spagnola, con la buccia. Non cucino spesso, non voglio diventare uno chef. Al fronte, ma una cosa è certa, non dimenticherò mai la cucina dell'esercito».