Dall’inizio delle ostilità belliche è stato fatto un gravissimo errore quello di additare un intero popolo come nemico. Un gruppo di attivisti in Russia ha iniziato la campagna contro il conflitto anche prima dell'invasione dell'Ucraina
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Come una rete a strascico che distrugge i fondali e gli ecosistemi marini, così la guerra con le sue atrocità lascia dietro di se il danno, la catastrofe, la distruzione e ciò che crea, sono mostri.
Durante le guerre esce fuori il peggio dell’essere umano e a farne le spese sempre e solo i civili. Dall’inizio del conflitto a livello sociale e umano è stato fatto un gravissimo errore, quello di additare un intero popolo come nemico. I danni e le strappature che questa guerra sta facendo a livello antropologico e sociale, saranno ancor più difficili da sanare rispetto a quelli economici, che viaggiano su altri canali. Abbiamo assistito a cancellazione di esami universitari perché come autore c’era Dostoevskij, abbiamo sentito parlare di turisti russi mandati via da alberghi proprio perché russi, ma non ci si è resi conto che anche questo è ghettizzare, anche questo è fare la guerra. Una guerra senza armi e con persone che non hanno chiesto di entrare nel conflitto.
Ma è pur vero che a crollare, a morire e a soffrire sono solo i palazzi ucraini, la popolazione ucraina o coloro che hanno scelto di viverci. A rimetterci è la libertà di un intero popolo, perché "l’altro" la libertà con molta probabilità non l’ha mai avuta.
Forse ci si perde i pezzi quando non si arriva a capire che una popolazione che vive sotto uno “stato dittatoriale”, in cui se provi a dissentire vieni arrestato (vedi Navalni), picchiato (vedi i manifestanti che avevano provato a dire no a questa guerra folle), multato (come l’uomo che scrisse su un social che era contro la guerra e ha ricevuto una multa di 30mila rubli), strappato dalla tua casa e dove la comunicazione è a senso unico, perché (a tutte le testate internazionali è stato impedito di lavorare) a dare informazioni è solo la tv nazionale e l’obnubilazione è garantita.
Molti parlano di lavaggio di cervello operato dall’occidente, ma mi pare che tutti, anche quelli più “estrosi”, abbiano la possibilità di dire la loro anche su canali alternativi alle tv o ai quotidiani che tanto vengono tacciati di inattendibilità, senza rendersi conto che vivere a questa latitudine è una benedizione. Ma ascolto storie di ucraini che hanno parenti in Russia e a loro dire sembra che diano ragione a Putin, prendendo le distanze dai familiari stessi. A parlare quindi non è più il buon senso, ma la rabbia e l’incomprensione. C’è da chiedersi però, come fanno coloro che hanno un solo punto di vista a immaginare qualcosa di differente. Forse abbiamo dimenticato che da Mosca sono stati banditi tutti i media non nazionali?
Fanno specie quelli che parlano di propaganda ucraina e poi da qui ascoltano solo le reti nazionali russe. Non ci si rende conto che a vivere da questa parte del mondo si ha una grande fortuna perché, che siate d’accordo o no, la nostra opinione la possiamo comunque esprimere.
Le guerre hanno un inizio e una fine e i danni che lasciano vanno ben oltre le perdite materiali. Non saranno metabolizzabili le perdite umane, così come diventerà sempre più difficile ricucire una rottura sociale così profonda creata tra popoli e che convivevano fino a pochi mesi fa. Una crepa creata da una politica aggressiva e da una comunicazione fatta per lo più di odio, potere e armi. Siamo solo pedine inermi su una scacchiera insanguinata. Torneremo a vivere così come accade dopo tutte le guerre. Riprenderemo a relazionarci con “l’altro”, anche con quegli stessi civili russi che oggi mandiamo via dagli alberghi, continueremo a studiare Dostoevskij come sempre fatto, ma non dovremo arrivare alla fine, per chiederci come ritornare a relazionarci.
Aristotele diceva: “In medio stat virtus” (La virtù sta nel mezzo), così nella guerra si va alla ricerca di quei pochi baluardi che provano ancora ad avere voce. Cercando testimonianze e raccattando anche tra le macerie il perché a domande che non smettono di giraci in testa.
Così a parlare per una popolazione che vorrebbe potersi esprimere parlano le immagini e alcune pagine di diario abbandonate nei luoghi dei “crimini” e che raccontano il sentire di chi vive la bruttura di una guerra.
Le proteste non svelate
È nella ricerca delle info che vengono fuori riscontri interessanti. Tutti in questo periodo abbiamo sentito parlare dei numerosi corpi abbandonati dai russi. Così durante alcune interessanti conversazioni create grazie alle nuove tecnologie, con dei colleghi ucraini e alcuni analisti conosciuti in loco, escono fuori delle curiosità che spingono ad approfondire.
Esce fuori che su Profile, un settimanale economico e analitico russo, verrebbero descritti i danni militari che Putin sta creando alla propria terra. Senza parlare degli ormai noti "cadaveri abbandonati”. Il caso ha iniziato a montare ancor prima dei video mostrati sui numerosi corpi dei militari, nello specifico da quando è stato affondato l’incrociatore Moskova. Dal primo appello lanciato da un padre che chiedeva disperatamente notizie di suo figlio e da lì sono seguite le numerose richieste di altri genitori. “Scomparso, non pervenuto” sono state le risposte che numerosi di questi parenti si sono sentiti dire.
Così nel programma di Elena Rykovtseva - Affrontare l’Evento - durante l’intervista a Gennady Gudkov, politico russo e businessman viene chiarito un punto. Alla domanda della conduttrice Gennady dice: «La Russia nasconderà le sue sconfitte fino all'ultimo. Vediamo che non prendono i corpi dei morti, tutti gli obitori dell'Ucraina sono pieni di questi corpi. Oggi hanno pubblicato le foto dei morti caricati sui rimorchi e portati negli obitori o da qualche altra parte. Si sente che li seppelliranno in una specie di fossa comune o in dei crematori mobili».
«Il nonno di mia moglie - continua - è stato dichiarato disperso durante la seconda guerra mondiale e la sua famiglia non ha ricevuto alcun beneficio. La pratica delle persone scomparse, la pratica di nascondere le perdite, la pratica di lasciare i morti sul campo di battaglia è una normale azione per la Russia. La gente si sveglierà solo quando ci saranno troppe di queste bare o quando sentiranno parlare di tanti morti. Notizie che sono celate. Solo allora, probabilmente, si formerà una specie di massa critica. Si parla di decine di migliaia di morti, ma per la Russia, abituata a non apprezzare la vita dei suoi soldati e ufficiali, questo, in generale, non è niente».
Ma le proteste montano nel silenzio dei media e grazie a qualche social che ancora funziona è possibile reperire qualche immagine e racconto. Così come grazie alla Bbc russa, ad oggi estromessa dai canali comunicativi di Mosca, è possibile scoprire che tali proteste non sono legate solo all’attuale guerra, ma che hanno avuto inizio anche prima del 24 febbraio.
Il sentore dei moscoviti era chiaro, da quello che si legge. Tutti temevano che sarebbe accaduto ciò a cui stiamo assistendo. All’inizio del conflitto le manifestazioni contro la guerra operate anche dai russi erano visibili, anche se non massive e non ravvicinate. Sparse quasi a macchia di leopardo per il territorio russo. Ad oggi a causa delle nuove misure repressive introdotte dalle autorità, che aumentano il rischio di detenzione, procedimenti penali e sanzioni pecuniarie elevate, le mobilitazioni degli attivisti sono diminuite se non del tutto scomparse almeno in patria. Mentre restano vive sui canali Telegram dando voce a chi è contro questa guerra.
Il Partito dei Morti è uno dei gruppi artistici più attivi in Russia e sono tra gli oppositori alla guerra in Ucraina e i loro volti sono sempre coperti da teschi disegnati, anche per evitare di essere riconosciuti. Gli attivisti hanno iniziato la loro campagna contro la guerra anche prima dell'invasione dell'Ucraina. Difatti il 22 febbraio, gli artisti sono stati fotografati al cimitero di Piskarevsky a San Pietroburgo con i manifesti "I morti non hanno bisogno della guerra", "Non hanno abbastanza cadaveri" e "Il potere russo crescerà con le tombe", senza parlare dei nuovi cartelli che citano “Non abbandoniamo i nostri (solo i loro cadaveri)”. Il luogo della scelta non era casuale, perché proprio in quel cimitero c’è una “fossa comune” consacrata a migliaia di “militi ignoti”...(continua)