Un effetto domino che produce conseguenze anche nella composizione del Consiglio provinciale di Vibo Valentia. Le dimissioni del sindaco di Polia Domenico Amoroso e di diversi consiglieri comunali, travolti dall’arresto dell’assessore ai Lavori pubblici Giovanni Anello all’alba del 21 luglio scorso nella maxi-operazione Imponimento – decorsi i canonici 20 giorni in assenza di improbabili ripensamenti – determineranno anche l’automatica decadenza di un componente dell’assise provinciale. Tra i consiglieri comunali decaduti (benchè non abbia formalmente rassegnato le dimissioni) figura infatti Matteo Umbro, esponente della maggioranza Amoroso e già candidato alla Provincia nella lista “Rinascita vibonese” promossa, nella tornata elettorale di secondo livello del 2018, a sostegno dell’attuale presidente Salvatore Solano, dalla coalizione di centrodestra capeggiata dal senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori.

 

Al suo posto farà ingresso in Consiglio il primo dei non eletti della medesima compagine: Francesco Artusa, consigliere d’opposizione a Filandari ed esponente della Lega di Salvini, “forte” di due (dicasi due) voti per un indice ponderato pari a 502 punti. Partito, la Lega, che, grazie alle conseguenze politiche dell’azione giudiziaria, farà dunque il suo esordio ufficiale nell’assemblea dell’ente intermedio, anche se solo per poco tempo dato che in autunno si tornerà al voto per il rinnovo del solo Consiglio. Artusa surrogherà quindi Umbro che, a sua volta, era subentrato a Maria Rosaria La Grotta, già consigliere comunale a Vibo, alla scadenza del mandato di quest’ultima nel maggio dello scorso anno. E mentre il prefetto Francesco Zito ha affidato le redini del comune noto per le sue eccellenti acque sorgive al suo capo di gabinetto Salvatore Guerra, nuovi particolari emergono in relazione ai risvolti politici della vicenda.

 

Umbro, infatti, non è stato il solo consigliere comunale di Polia a tentare la sortita in Consiglio provinciale. Nella tornata elettorale del 31 ottobre 2018 ci aveva provato – sul fonte opposto – anche un altro componente della sua stessa maggioranza, vale a dire proprio l’assessore Giovanni Anello finito nella rete della Dda di Catanzaro. Procura antimafia, guidata da Nicola Gratteri, che ha sferrato un colpo micidiale al clan Anello, mettendo in evidenza le ingerenze negli enti locali e gli interessi imprenditoriali di una consorteria che da Filadelfia muoveva i suoi tentacoli in tutta l’area a cavallo tra Vibonese e Lametino, spingendo le sue propaggini fino in Svizzera.


Anello, oggi causa delle dimissioni di sindaco e consiglieri comunali e della decadenza di Umbro, alle elezioni provinciali era stato candidato con la lista “Civilmente impegnati” schierata a sostegno del candidato Pd Antonino Schinella. Una lista nata dal cosiddetto “terzo polo” messo in piedi dall’ex presidente della Provincia Francesco De Nisi e dall’ex consigliere regionale Pietro Giamborino godendo del sostegno, per nulla occulto, del già deputato ed ex vicepresidente della Regione Calabria Nicola Adamo. Gli ultimi due finiti tra i politici di spicco coinvolti nell’inchiesta Rinascita-Scott, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione elettorale e traffico di influenze illecite (nel caso di Giamborino) e di traffico di influenze in concorso e aggravata (Adamo). Sul conto di De Nisi (non indagato) pesano le accuse del pentito Giovanni Angotti agli atti dell’operazione Imponimento. Il collaboratore di giustizia lo tira in ballo riferendo del presunto appoggio ricevuto dal clan di Rocco Anello attraverso il procacciamento di voti in cambio di denaro o sotto la minaccia di ritorsioni. Accuse rispedite al mittente dall’esponente politico che le ha definite «del tutto prive di qualsiasi possibile indizio di fondamento e in contrasto con il mio impegno pubblico» aggiungendo di non aver mai conosciuto il suo accusatore.

 

Tornando a Giovanni Anello, il suo, alle provinciali del 2018, non fu un exploit particolarmente eclatante. Sette in tutto i voti che racimolò nei consigli comunali chiamati al voto. Tuttavia, dopo la decadenza di Maria Fiorillo, giunta a scadenza di mandato nel Consiglio comunale di Vibo e il subentro in sua vece dell’assessore di San Costantino Raffaele Corigliano, l’ex assessore di Polia figura primo dei non eletti della sua lista, con un indice di voto ponderato pari a 1.646 punti. Anello, peraltro, è stato tra i pochi amministratori esterni a Palazzo Luigi Razza a poter vantare consensi anche all’interno del Consiglio comunale del capoluogo, riuscendo ad accaparrarsi la preferenza di un consigliere dell’epoca vedendo lievitare sensibilmente il suo indice di voto ponderato. Sfumata la sua carriera politica, dovrà ora difendersi dalle pesanti accuse che gli vengono mosse dalla Dda che gli addebita ben 12 capi d’imputazione tra i quali associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, falsità materiale, abuso d’ufficio, riciclaggio, rivelazione di segreti d’ufficio, corruzione, turbata libertà degli incanti. Tutti aggravati dalle finalità mafiose.

 

Un caso, il suo, che al pari di molti altri ripropone la questione della selezione della classe dirigente sempre più in mano a capicorrente senza scrupoli e pudore e orientata dalla capacità di ottenere consensi con qualunque metodo anziché dalle reali competenze in campo politico-amministrativo. E alla vigilia delle elezioni comunali del 20 e 21 settembre e delle consultazioni di metà mandato alla Provincia di Vibo la questione torna prepotentemente d’attualità. Nella speranza che – nel caso della Provincia – all’ombra di una competizione elettorale che già si preannuncia politicamente infuocata, non si consumino altri misfatti ai danni della collettività e di un ente che un tempo rappresentava una vera e propria fabbrica del consenso e che oggi, con la fuoriuscita sempre più probabile dalle secche del dissesto, potrebbe tornare a solleticare gli appetiti di certa politica.