Con il 2019 si chiude una delle più tormentate legislature calabresi. Iniziata con Rimborsopoli la gestione del centrosinistra è stata falcidiata dalle inchieste giudiziarie. Il governatore ha ridotto ai minimi termini il ruolo dell’Assemblea e ha innalzato l’inciucio col centrodestra a metodo di governo
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Una legislatura complicata e finita con un inedito: la mancata ricandidatura del governatore uscente. Mario Oliverio si è presentato ai nastri di partenza forte di un vittoria larghissima, è stato eletto presidente con il 61,4%, arrivata dopo un’altra grande affermazione, all’interno del suo partito, alle primarie che lo videro contrapporsi al candidato renziano Gianluca Callipo.
Eppure, nonostante il consenso bulgaro e la larga maggioranza ottenuti fin da subito, il governatore non ha mai avuto feeling con il Consiglio dimostrandosi eccessivamente accentratore. Il 26 gennaio 2015 battezzò la sua prima giunta, in realtà una mini giunta, non prima di aver fatto approvare una modifica legislativa che abolisse il limite del numero di assessori tecnici.
Le tre giunte e la mortificazione della politica
Il primo esecutivo fu composto da soli quattro assessori: l'ex ministro Maria Carmela Lanzetta, il consigliere Enzo Ciconte, il consigliere Carlo Guccione e infine Nino De Gaetano, ricompensato per la mancata ricandidatura.
La tranquillità non dura neanche lo spazio di 24 ore: la Lanzetta rinuncia subito all’incarico per protestare contro la nomina di De Gaetano, il cui nome era finito all’interno di una informativa della Dda. Ad aggravare il quadro l’esplodere di “Romborsopoli” che travolge il primo esecutivo perché coinvolge proprio Ciconte, Guccione e De Gaetano.
Oliverio, mettendo da parte ogni forma di garantismo, azzera l’esecutivo e chiede le dimissioni anche del presidente del Consiglio Antonio Scalzo che sarà sostituito da Nicola Irto. Per la giunta, invece, la scelta che segna la spaccatura definitiva con il Consiglio: sette assessori tecnici e nessun riconoscimento ai gruppi politici e consiliari.
Neanche questo accorgimento, però, serve a evitare le indagini. Nel luglio 2017 arriva un avviso di garanzia per l’assessore Carmen Barbalace. Spunto per Oliverio per dare un ulteriore ritocco alla giunta con il siluramento della stessa Barbalace, di Federica Roccisano entrata in conflitto con l’aerea del governatore e la sostituzione di Antonio Viscomi, eletto in Parlamento. Anche in questo caso nessuno spazio al Consiglio regionale. La scelta di Oliverio cade su tre donne di area Pd: Angela Robbe, Maria Francesca Corigliano e Maria Teresa Fragomeni.
Praticamente il colpo definitivo e la rottura senza più possibilità di recupero con i consiglieri regionali, a partire da Carlo Guccione, che si sono visti estromettere da ogni processo decisionale e di governo. Tanto che la protesta dei consiglieri si estese anche nei confronti del capogruppo Sebi Romeo, fedelissimo del presidente della giunta, reo di non aver quasi mai riunito il gruppo consiliare.
Il risultato di questa scelta di Oliverio, il quale ha trattenuto nelle sue mani numerose deleghe senza assegnarle né ai consiglieri, né agli assessori come quella al Turismo, ha di fatto sgretolato i rapporti con la maggioranza. Tanti i consiglieri che hanno deciso di lasciare i gruppi con i quali sono stati eletti. Ha iniziato Vincenzo Pasqua che dalla lista Oliverio presidente è transitato all’opposizione e poi hanno proseguito Giuseppe Neri, Antonio Scalzo e Franco Sergio che hanno formato i “Moderati per la Calabria”. Per non parlare delle dimissioni dal gruppo del Pd formulate da Carlo Guccione e Domenico Bevacqua.
Per sette volte di seguito manca il numero legale
Tensioni e lotte che hanno paralizzato la vita del Consiglio regionale che dall’inizio del 2018 fino alla pausa estiva dello stesso hanno ha collezionato qualcosa come sette interruzioni consecutive dei lavori per assenza del numero legale.
Per poter proseguire l’azione di governo, seppure ai minimi termini, il presidente nella parte finale della legislatura è stato costretto a ricorrere sistematicamente al sostegno della minoranza di centrodestra con la quale, di fatto, ha stabilito l’ordine del giorno del Consiglio in sede di Conferenza dei capigruppo. Emblematica l’intesa con Mimmo Tallini in occasione dell’approvazione della legge sulle Valli Cupe da lui proposta per avere in cambio il numero legale per approvare la liquidazione del Corap e alcuni documenti contabili.
Del resto lo stesso Oliverio ha ammesso più volte in Consiglio regionale che la maggioranza non esisteva più ed è stato costretto a rinunciare all’approvazione dell’ultima manovra finanziaria ricorrendo all’esercizio provvisorio. Non aveva i numeri per approvare il bilancio, né la forza di assumere decisioni complicate di taglio alla spesa come aveva imposto l’ultimo giudizio di parifica della Corte dei Conti.
Molto debole, però, si è dimostrata anche l’azione della minoranza che dietro “il senso di responsabilità” ha di fatto tenuto in vita il governo Oliverio ben oltre la sua implosione.
Il commissariamento della sanità
Altro tormentone che ha caratterizzato la legislatura appena conclusa è stato quello del muro contro muro contro il governo nazionale e il commissariamento della Sanità. Oliverio, appena eletto, aspettava da Matteo Renzi la nomina di commissario ad acta, così come l’aveva avuto il suo predecessore Giuseppe Scopelliti. Ed invece arrivò una modifica legislativa per evitare la coincidenza tra la carica di presidente della giunta e commissario alla sanità.
Arrivò quindi in Calabria Massimo Scura con il quale Oliverio avviò una battaglia durissima spesso finita nelle aule di Tribunale. Ma neanche quando l’esperienza di Scura è arrivata al capolinea e l’odiato Matteo Renzi non fu più al governo, la situazione è migliorata per il governatore. Il commissariamento è rimasto, ma è mutato solo il capo dell’Ufficio, con la nomina di Saverio Cotticelli. Non solo.
Il governo Conte ha escluso la possibilità di rientro alla normalità per la Calabria varando addirittura un decreto speciale approvato dal Consiglio dei ministri riunito per l’occasione a Reggio Calabria. Il risultato finale è che la sanità è ancora commissariata, i nuovi ospedali non sono stati costruiti, non sono state sbloccate le assunzioni, l’emigrazione sanitaria è di dimensioni inaccettabili, mentre i livelli dei servizi essenziali sono tra i peggiori in Italia. Anche politicamente questa lotta ingaggiata dal governatore è risultata perdente e lo ha messo ai margini della vita del partito.
La questione morale
La legislatura appena chiusa è stata inoltre caratterizzata e tormentata dal riproporsi continuo e senza soluzione della questione morale e delle infiltrazioni della criminalità nella gestione della cosa pubblica. Tantissimi gli indagati nell’ambito dell’inchiesta “Rimborsopoli” sulla gestione dei fondi dei gruppi consiliari e poi ben tre sono stati i consiglieri sospesi per effetto di indagini delle Procure: Nazzareno Salerno, poi rientrato, e, infine, Alessandro Nicolò e Sebi Romeo, con quest’ultimo che proprio adesso ha visto cassata la misura cautelare cui era stato sottoposto.
Anche il governatore ha avuto il suo bel da fare con la giustizia. Oliverio è rimasto coinvolto in Lande Desolate per corruzione, poi in Passapartout per presunti favori politici e, infine, per peculato per la gestione dei fondi legati al Turismo in riferimento al festival di Spoleto. Ma nei guai giudiziari sono finiti molti degli uomini a lui più vicini. Nicola Adamo e Luigi Incarnato, ad esempio, sono rimasti impigliati anche nell’ultima operazione condotta da Nicola Gratteri. Il colpo definitivo per le ambizioni di Mario Oliverio di potersi candidare da autonomo e in competizione con Pippo Callipo.
Un bilancio fallimentare
In questo contesto, le 83 sedute di Consiglio regionale di cinque anni hanno fruttato ben poco alla Calabria. Nessuna riforma degna di nota se non quella relativa al Piano dei Trasporti, ma soltanto la gestione approssimativa dell’ordinario. Il Consiglio poi non è riuscito ad ottenere neanche due degli obiettivi posti fin dall’inizio: l’abolizione dei vitalizi e la riforma della legge elettorale con l’introduzione della doppia preferenza di genere. Nel primo caso dopo l’abolizione dei vitalizi, l’introduzione del sistema contributivo per i nuovi consiglieri e la riduzione dei vitalizi dei precedenti con l’introduzione del contributo di solidarietà non ha dato i risultati sperati. E seppure la spesa complessiva dovrebbe essere ridotta, non è piaciuta per nulla la timidezza del taglio e ha destato più di qualche perplessità la modalità di calcolo del Tfr che ha attirato l’attenzione dei media nazionali.
La riforma della legge elettorale, invece, è stato il più classico dei bluff messi in atto dalla nostra classe dirigente. Sono state audite associazioni ed eleborati decine di progetti di legge, ma uno solo è arrivato in Aula per essere respinto. Fino all’ultima seduta, però, non sono mancati i consiglieri pronti in Aula a lanciare appelli (falsi) per arrivare all’approvazione della legge che non è arrivata.
L’unica modifica alla legge elettorale è quella imposta dalla Corte Costituzionale dopo il ricorso proposta da Wanda Ferro e cioè il candidato governatore che arriverà secondo (il miglior perdente) avrà di diritto il proprio posto in Consiglio regionale.