C’è risentimento nelle parole di Domenico Tallini. E non solo per le presunte esternazioni sul suo conto da parte del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, di recente divenute di dominio pubblico per mezzo di una nota in cui l’ex presidente del Consiglio regionale riferisce dinamiche interne alla maggioranza di governo, tra il vertice della Cittadella e i consiglieri regionali, nella conduzione della massima assemblea.

La gran cacciata dal partito

È anche acredine generata dalla gran cacciata dal partito, dopo l’inciampo giudiziario che gli è costato non solo lo scranno più alto di Palazzo Campanella ma ha anche sentenziato il capolinea della sua “carriera” politica. Assolto in tutti i gradi di giudizio dall’infamante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico mafioso ma mai riabilitato dal partito, Forza Italia, che lui si vanta di aver costruito. “Ispiratore” di «un nuovo modello organizzativo» che ha portato il partito azzurro in Calabria ad assurgere «alle più alte percentuali di consenso in Italia».

Un ostacolo al partito

Divenuto un «ostacolo», «sostituito» e, infine, «spinto fuori dal partito» con la regia del presidente della Regione Calabria, secondo quanto affermato da Domenico Tallini in una intervista rilasciata a LaC News24, «non estraneo a questa vicenda». Eppure l’ex presidente del Consiglio regionale a Roberto Occhiuto lo ha pure votato: «Purtroppo e ho contribuito a farlo votare» ammette confermando un radicale cambio di giudizio nei confronti del presidente della Regione e le sue «ingenerose» esternazioni.

L’eredità azzurra

Assurto a «fustigatore di grillina memoria» ma dalla «doppia morale», secondo Tallini, il presidente della Regione avrebbe ereditato «coalizioni, forze politiche e consensi, nati dal lavoro e dal sudore di tanta gente, militanti e quadri dirigenti come me», a conclusione della funestata legislatura che si ricorderà per l’arresto del presidente del Consiglio regionale e per la prematura scomparsa della presidente della Regione Calabria, Jole Santelli. Era il 2020.

Autonomia del Consiglio regionale

Un idillio, nel ricordo di Domenico Tallini. «Sotto la mia presidenza il Consiglio regionale aveva avviato una fase di completa autonomia sia pur di condivisione e collaborazione del programma di centrodestra». Una assemblea adesso nei fatti esautorata dall’eccessivo “autoritarismo” del presidente della Regione: «Un dittatore con i consiglieri regionali, candidati, eletti e portatori di loro voti». Da lui redarguiti: «Vi caccio se non fate come dico io, vi mando a casa, non vi candido. Come va dicendo il presidente Occhiuto a diversi consiglieri regionali».

Parole di ingratitudine

Eppure per Domenico Tallini «i presupposti perché lui diventasse governatore li ho creati io». Nessun riconoscimento però, ma solo parole di ingratitudine per chi «si è assunto l’onere e il compito di creare il partito in un momento difficile in Calabria».

Alle latitudini locali

Il partito azzurro, oggi a livello locale, affidato alle cure di Marco Polimeni che «non ha mai avuto la tessera di Forza Italia o una storia con Forza Italia» rivendica Domenico Tallini. Calato in un contesto politico, il consiglio comunale di Catanzaro, in cui la maggioranza-minoranza «è una coalizione eterogenea, costruita per tronconi, dove non c’è una squadra solida, compatta o con le idee chiare» e che nonostante il favore dei numeri ha prodotto ben poco nella civica assise, secondo l’ex presidente del Consiglio regionale.

Maggioranza-minoranza

«Dov’è stato l’attivismo? Dove ha fatto contare la sua presenza produttiva anche di proposta a favore della città questa maggioranza che è maggioranza in consiglio rispetto a Fiorita che è minoranza?» si domanda Tallini. «L’ho anche detto a Fiorita l’ultima volta che l’ho visto» racconta. «Fossi al tuo posto, avrei chiesto io all’opposizione il bilancio della loro attività. Che cosa hanno prodotto? Dicono di essere maggioranza!»