«È stato combinato un pasticcio…». È lapidaria la presidente della Commissione Affari esteri e Difesa del Senato, Stefania Craxi, nel commentare la liberazione del generale libico Najem Osama Almasri, capo del centro di detenzione di Mitiga e inseguito da un mandato di cattura dalla Corte penale internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità.
In Calabria per presentare il suo libro sul padre Bettino (All’ombra della storia, Piemme Editore) accetta di raggiungerci nella redazione centrale di Vibo per una breve intervista.
Le immagini di Almasri che scende dall’aereo dei servizi segreti italiani utilizzato per riportarlo in Libia, dopo la mancata convalida dell’arresto in Italia, hanno fatto il giro del mondo mettendo in evidente imbarazzo la maggioranza di cui Stefania Craxi è un’esponente. E mentre le opposizioni chiedono le dimissioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che non sarebbe stato abbastanza tempestivo nel comunicare alla Procura di Roma i motivi per cui Almasri andava trattenuto e il suo arresto convalidato, nel centrodestra si cerca di fronteggiare la valanga di polemiche. Anche Craxi glissa e tenta di derubricare la questione a semplice inciampo, anche se è chiaro a tutti che la detenzione del generale libico avrebbe potuto pregiudicare gli accordi con il Paese maghrebino, principale argine al flusso di migranti diretti dal Nordafrica verso le coste italiane.

Il Governo ha ceduto a un ricatto del tipo “liberatelo o vi inondiamo di migranti”?
«Quanto è successo è grave, ma resta principalmente un pasticcio».

D’accordo senatrice, ma chi ha sbagliato? La Procura di Roma o il Governo?
«Non lo so, non conosco le carte».

Ok. Proviamo con Trump. Il presidente americano ha subito mostrato i muscoli e lanciato messaggi bellicosi da un punto di vista economico. L’Europa deve temere Trump?
«A me non spaventa Trump, anche perché lo conosciamo, è già stato alla guida degli Usa. Spesso tra le sue dichiarazioni roboanti e le sue azioni ci passa il mare. Penso che per l’Europa il pericolo non sia l'amministrazione Trump, ma l’inconsistenza del sistema europeo».

Lei è in Calabria per presentare il suo libro. Cosa c’è dentro?
«È il racconto di una famiglia politica, quindi di una bambina, una ragazzina, nata in una famiglia politica, dove la politica era una signora che sedeva a tavola con noi. È un libro che mischia cose personali e pezzi di storia repubblicana. È anche un libro molto intimo. Ho pescato in quel pudore dei sentimenti che era un tratto caratteristico della mia famiglia».

C’è un aneddoto nel libro al quale è legata in particolare?
«Quando muore Craxi, dopo mezz'ora chiama Palazzo Chigi, allora il presidente del Consiglio era Massimo D'Alema, un uomo della morale disinvolta. Mi offrì funerali di Stato. Io dissi: grazie, ma no. Se Craxi aveva diritto ai funerali di Stato, aveva anche diritto a essere curato da un uomo libero nel suo Paese. In quel momento la politica è ritornata nella mia vita. Forse non se ne era mai andata».

Pensa che il Paese sia pronto a riconciliarsi con la memoria di suo padre, che è stato il simbolo più riconoscibile della stagione di Mani pulite?
«Io penso che il tempo ricollocherà Bettino Craxi nella storia positiva dell'Italia repubblicana. Ma c’è ancora un pezzo di Paese che non può, non vuole e non sa fare i conti con questa storia. Purtroppo questo pezzo di Paese sta a sinistra. Dico purtroppo perché Craxi è stato un grande leader della sinistra. Ma la sinistra di oggi vede in Mani Pulite il proprio atto fondativo».

Crede che l’Italia sia ancora profondamente giustizialista?
«Non c'è più quella forza dirompente di allora, ma il morbo giustizialista continua ad avvelenare la vita pubblica italiana almeno da 30 anni».

Eppure lo stesso presidente Mattarella, recentemente, nel ricordare Bettino Craxi a 25 anni dalla morte, ha rimarcato le sue riforme e la sua statura da statista…
«È stato un bel riconoscimento. Sono grata al Presidente».