«Il Covid non c’entra nulla. Non sapevamo che fosse un mostro e non ha mai chiesto perdono». Vincenzo Quaranta ricorda la figlia Lorena e considera «ingiusta» la sentenza della Cassazione che revoca la condanna del 34enne Antonio De Pace
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Vincenzo Quaranta, il papà di Lorena, non si dà pace. La mente va ai processi e alle sentenze. Alle motivazioni dell’ultima, quella della Cassazione che ha concesso le attenuanti all’assassino di sua figlia perché “stressato” dal Covid. Alle perizie secondo le quali l'infermiere calabrese Antonio De Pace non era in preda a un raptus psicotico il 31 marzo del 2020, quando ha ucciso sua figlia in una villetta di Furci Siculo (in provincia di Messina). «Il Covid con questa storia non c’entra niente – dice –. La verità è che lui aveva un complesso di inferiorità».
Quaranta, in un’intervista al Messaggero, commenta la decisione della Cassazione, che ha annullato l’ergastolo, suscitando reazioni indignate. Servirà un appello bis per valutare la concessione delle attenuanti generiche per il 34enne di Dasà. Per i giudici della Suprema Corte l’emergenza pandemica va considerata come un contesto eccezionale che avrebbe avuto un peso nell’omicidio. «Quello che è successo con questa sentenza è gravissimo - ripete - così la uccidono di nuovo. È stata una cosa ingiusta. Chissà se Lorena fosse stata la figlia di questi giudici…».
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Per Vincenzo Quaranta «il Covid non c’entra nulla. Era appena cominciato. La verità è che De Pace aveva un complesso di inferiorità nei confronti di mia figlia. Lei si era quasi laureata in medicina, lui era specializzando in Scienze infermieristiche e Lorena l’aveva aiutato a non fermarsi e ad entrare in Odontoiatria. Aveva dato già quattro esami. Doveva farne un altro, ma non era angosciato, fino alla mattina aveva scherzato con il fratello di Lorena, che all’epoca aveva 5 anni».
«Quello che emerge – continua – è la paura di non essere all’altezza. Non sapevamo fosse un mostro».
Dal telefono della vittima sono spuntati dei messaggi non valutati nei processi, che, secondo il padre di Lorena, aiutano a definire meglio il quadro: «A ottobre del 2019, Lorena gli scriveva: “Stai manifestando il carattere che mi fa pena… io me ne frego se sei infermiere o medico. Preferisco dire con dignità che sono la fidanzata di un infermiere che si comporta da uomo e non di un medico cafone».
Anche il tentativo di suicidio di De Pace dopo l’omicidio sarebbe, per il padre della ragazza, «tutta una messinscena Avrebbe avuto tutto il tempo. È rimasto circa due ore in casa con il cadavere di mia figlia. Ha finto e in questi anni non ha mai detto una parola». E poi non avrebbe mai chiesto perdono: «Mai».
Ora l’esito processuale è quanto mai incerto, per l’imputato si apre la possibile di un forte sconto di pena: «Lo so – dice Quaranta –, ma la speranza è che i giudici tornino a valutare bene tutti gli elementi, come è successo in primo grado e in appello. Sarebbe un secondo omicidio».