Intervista al responsabile regionale del dipartimento Sanità del Carroccio: «Serve l'azzeramento del debito e una classe dirigente nuova e capace che non consenta alcun commissariamento»
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Schietto. Senza filtri. Immediato, tanto che a volte le parole sembrano anticipare il pensiero. E in chiodo fisso: migliorare la sanità. Dove? In Calabra. «È un problema che dobbiamo risolvere per noi calabresi che qui ci viviamo», anticipa Elio D’Alessandro, che davanti al taccuino del cronista è un autentico fiume in piena. Una vita, la sua, trascorsa tra i mille problemi della sanità del Bel Paese: piscolinguista, responsabile nazionale dell’innovazione del Sistema sanitario nazionale dell’Udc di Casini, per due anni alla Consulta sanità a Roma e poi altri incarichi lungo lo stivale. Dal 14 marzo scorso è il referente per la Lega di Salvini del Dipartimento sanità in Calabria. Nuovo lavoro, tanti impegni. Ma soprattutto nodi complicati da sciogliere. E in questa intervista, D’Alessandro spiega soprattutto i mali di una sanità calabrese commissariata da anni. Mentre la politica…
Cosa vuol dire essere della Lega in Calabria?
«Prima di rispondere occorre fare una premessa. C’è infatti da dire che ho avuto sempre a cuore il problema della sanità in Calabria, e ho cercato dappertutto, senza avere fini politici, qualcuno che mi appoggiasse, che facesse da Pigmalione affinché potessi esprimere le mie capacità in questo settore. In molti non ho riscontrato l’appoggio e l’interesse che cercavo e spesso mi sono sentito dire che era ancora troppo presto, che le elezioni erano ancora troppo lontane. In coloro che ho incontrato non ho visto un concreto interesse nei confronti del problema della sanità in Calabria. Ma mi è sembrato di capire che il problema sia diventato una merce di scambio, un fatto elettorale. Tanto è vero che ora che le lezioni sono prossime tutti parlano di sanità».
E poi è arrivata la Lega?
«Nella Lega, e in particolare in Matteo Salvini, invece ho trovato capacità di ascolto sulle problematiche da me evidenziate. Poi è stato nominato commissario Giacomo Saccomanno, ed è proprio per lui che sono nella Lega. Giacomo Saccomano è, infatti, persona rispettabilissima che ha dimostrato di avere attenzione per il problema della sanità in Calabria, anche per vicissitudini personali».
Il 14 marzo arriva l’incarico. Qual è stato il suo primo pensiero?
«Sin da subito mi sono entusiasmato. Ho voglia di fare concretamente tutto ciò che non mi è stato possibile realizzare negli anni. Infatti, in tutti gli anni di attività nelle regioni in cui sono stato impegnato sono riuscito a realizzare tante cose, in particolare riguardo l’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. Ma il mio impegno in Calabria non è mai stato notato, né tantomeno mi è mai stata chiesta una collaborazione o anche un semplice consiglio».
Perché la sanità in Calabria è considerata una malasanità?
«Prima di tutto per le inappropriatezze, che non vengono per caso. La domanda, tuttavia da porre è un’altra. La Calabria interessa a Roma, o no? Altrimenti non si spiegherebbe il via vai di tante persone che, seppur capaci nel proprio settore, forse sono inappropriati per risolvere gli annosi problemi sanitari dei calabresi. Le dirò di più: di recente ho avuto un incontro con il Commissario Longo durante il quale abbiamo offerto il supporto della Lega nell’affrontare le diverse problematiche. Ma la collaborazione è durata pochissimo. Ha staccato istituzionalmente ogni tipo di confronto. In poche parole mi ha scaricato. Ignoro, però, il motivo».
Lei è contro il commissariamento in Calabria. Tutti almeno a parole si dicono contrari, ma poi nessuno mette la parola fine.
«Come vede, tutti si aggrappano al carro della sanità, ma senza risolvere nulla. Inoltre, voglio fare notare che qui in Calabria esisteva un direttore generale Dipartimento Salute della Regione Calabria, che si chiama Francesco Bevere, il quale per tutto il tempo che è stato lì, compreso il periodo della bufera Cotticelli non si è mai espresso. Eppure percepiva un lauto compenso per il lavoro che dovrebbe fare. La sua assenza risuonava tanto da far dire, parafrasando Manzoni, Bevere chi è costui?»
Ma se a Roma la Calabria non riscuote l’interesse che merita, forse la classe dirigente nel suo complesso non è all’altezza?
«Non credo che non sia all’altezza. Piuttosto credo che la Calabria sia un fastidio. Una sorta di mosca fastidiosa che gira intorno e che si cerca a tutti i costi di scacciare, ma la mosca c’è. Allora o elimini la mosca o subisci il suo fastidio. In questo caso e nel tempo che stiamo vivendo, si sta ancora cercando di allontanare il fastidio, senza però essere efficaci e senza volere bene ai calabresi. Il compito della politica, quindi, non è quello di ridisegnare una sanità una Calabria, ma l’interesse deve essere rivolto ai calabresi. Bisognerebbe, intanto, smuovere le coscienze e fare rinascere uno spirito di ribellione nei calabresi stessi. Perché a chi governa non importa nulla del loro destino».
Ora però lei è espressione di un partito politico.
«Assolutamente sì, e lo dico con orgoglio. Sono stato anche molto critico nel mio partito, perché io mi occupo di sanità e tra sanità e politica c’è una bella differenza».
Quindi, il fatto di far parte di un partito per lei è del tutto accidentale, perché lei si occupa di sanità?
«Non è un fatto accidentale. Ho frequentato molti ambienti. E la Lega ha tante pecche. Ma possiede due aspetti fondamentali: l’onestà e poi sono appagati del semplice fatto di potersi occupare di politica. Poi aggiungo che il politico ha paura della santità per due ordini di ragioni: la prima è perché ha interessi chiamiamoli particolari, la seconda è perché non capisce il problema. Quindi riassumendo per corruttela o per ignoranza»
Parliamo di sanità nello specifico: se domani mattina potesse cambiare subito qualcosa. Cosa farebbe?
«Il mio sogno è questo: far diventare la Calabria la prima regione virtuosa in sanità. Se si parla di regioni virtuose si fa riferimento quasi sempre a quelle del nord. Ma il mio sogno è questo, perché la Calabria è terreno fertile. Non essendoci nulla, se entrano in gioco le competenze, si può ottenere tanto. Il mio impegno è dovuto ad un motivo egoistico. Le spiego. Vorrei non essere preoccupato se ai mei familiari dovesse accadere qualcosa che richieda un immediato e pronto intervento sanitario. Ecco, se tutti la pensassimo così ogni problema sarebbe presto risolto».
Quindi, da dove partire? Dove intervenire?
«Ci sarebbe da fare tutto, ma non possiamo fare tutto subito. Quindi, la prima cosa da fare è salvare la pelle. Intervenire subito sulle piccole emergenze. Prioritariamente centri di emergenza-urgenza all’altezza. Le dico un fatto assurdo quanto grave: alcuni giorni fa nel Vibonese l’ambulanza è arrivata tardi e una donna è morta perché è giunta in condizioni disperate all’ospedale. Io sono stato dal commissario dell’Asp di Vibo Maria Bernardi, una donna che vuole collaborare, ma anche lei si è arresa alla inefficienza della Regione che sulla carenza di ambulanze ha risposto alla Bernardi “si arrangi”. La Regione non le dà il permesso di comprare delle ambulanze ma glielo dà invece per noleggiarle. Tre ambulanze per quattro, cinque mesi costano un milione, faccia lei i conti e mi dica cosa conviene di più. Quante ambulanze compra con un milione?».
Ma alla Regione c’è Spirlì.
«(lungo silenzio, ndr) Parliamo di sanità non di queste cose che non hanno nulla a che vedere con quello di cui mi occupo».
La sanità occupa nel bilancio della Regione la parte più cospicua a livello economico. È un bene, ma poi…
«Che si intervenga molto a livello finanziario è certamente un bene. Tuttavia, queste ingenti somme di denaro fanno gola a molti. Tutta la burocrazia negli anni è stata costruita proprio per favorire l’amico dell’amico. Quindi, si trovano familiari e affini imbucati nei vari uffici che non fanno nulla. Ma è necessario avere uno scatto di orgoglio. Non bisogna fare l’errore di farsi ammaliare da gente che vanta tanti titoli, ma che alla fine non adotta strategie per fare cose concrete. Bisogna, infine, diffidare da personaggi che salgono sul carro dei vincitori e pretendono di parlare di programmazione sanitaria».
Ma cosa serve, oltre all’orgoglio dei calabresi, per riabilitare la sanità?
«Serve l’azzeramento del debito sanitario. E di questo bisogna discuterne a Roma non alla Regione. Senza togliere di mezzo questo macigno del debito si può fare veramente poco. In secondo luogo occorre una classe dirigente nuova e capace, che non consenta più alcun commissariamento. Dedicarsi quindi a creare un servizio efficiente per le emergenze-urgenze, mettere in atto il Numero unico europeo, il 112. Rendere sempre efficiente il servizio di Elisoccorso, sono anni che viene prorogata la gara. E poi la disabilità, molte famiglie sono completamente sole. È doveroso che non lo siano più. Noi siamo al servizio di chi non ha voce. E in Calabria, purtroppo, sono tanti».