Il saggio storico scritto dall’ex direttore della Stampa e del Tg1 al centro di un’iniziativa promossa dall’Associazione 25 Aprile e dalla Fondazione Giacomo Mancini
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Non è una biografia, una delle tante, quella scritta dall'ex direttore della Stampa e del Tg1 Marcello Sorgi sulla figura di Enrico Berlinguer. Piuttosto un saggio storico, nel quale il profilo del popolarissimo segretario nazionale del Partito Comunista scomparso nel 1984, viene tratteggiato con gli occhi del cronista, ed anche con il contributo delle voci di altri protagonisti di quella stagione come Achille Occhetto e Massimo D'Alema, e di osservatori del calibro di Giuliano Ferrara.
Stagione irripetibile
Una stagione probabilmente irripetibile quella condotta da Berlinguer sotto le insegne di Falce e Martello culminata nel tentativo di giungere ad un compromesso storico con la Democrazia Cristiana di Aldo Moro, poi vanificato dall'azione criminale delle Brigate Rosse. Sorgi ha presentato il volume, edito da Chiarelettere, nel salone degli specchi del Palazzo della Provincia di Cosenza, nel corso di una iniziativa promossa congiuntamente dall'Associazione 25 Aprile e dalla Fondazione Giacomo Mancini, alla quale, oltre ai loro rispettivi esponenti, Sergio De Simone e Giacomo Mancini jr, sono intervenuti Franco Ambrogio, deputato del Pci per tre legislature dal 1976 al 1983, e Mario Oliverio, che nel Partito Comunista di Berlinguer mosse i primi passi della sua lunga carriera politica ed istituzionale.
Anche i comunisti hanno il loro santo
Ed ha spiegato anche i motivi della scelta del titolo del libro, San Berlinguer: «Lo racconto nell'ultima pagina, se fosse un giallo non lo svelerei; io ero uno dei sei cronisti che il Messaggero mandò ai funerali di Berlinguer. Un evento enorme, io non ho mai più visto nulla di quelle dimensioni. E mi è rimasto impresso il fatto che tutti coloro che marciavano per andare in Piazza San Giovanni, e tanti non riuscirono a entrarci perché la piazza era traboccante, gridavano Enrico, Enrico, Enrico. Lo chiamavano come se non fosse morto, come se volessero promettergli che avrebbero proseguito l'impegno politico nel suo nome. Molti anni dopo, il 5 aprile 2005, si celebrarono i funerali di Papa Giovanni Paolo II – ricorda ancora Marcello Sorgi - Rimasi molto colpito da una piccola comunità di polacchi, disperata ovviamente poiché erano consapevoli che non avrebbero mai più avuto un Papa originario del proprio paese o, perlomeno, non lo avrebbero avuto per molto tempo. E gridavano santo subito, santo subito. Furono tra l'altro pure accontentati e in breve tempo, perché in nove anni, Papa Wojtyla venne proclamato santo. E appunto, mentre sentivo l'appello dei polacchi mi tornarono in mente i compagni di Berlinguer che gridavano Enrico, Enrico, Enrico. E dentro di me pensai che, in fondo, anche i comunisti hanno avuto il loro santo, San Berlinguer».
Il mito dell’ultimo segretario
A torto o a ragione, molti considerato il leader scomparso quarant'anni fa, come l'ultimo vero segretario del Pci, anche se poi vi furono vari traghettatori fino alla svolta della Bolognina determinata anche dalla caduta del muro di Berlino: «Un periodo, quello successivo alla sua morte in cui è stato crocifisso, rivalutato, studiato, criticato e alla fine mitizzato – ha detto Sorgi - Io trovo che la mitizzazione sia la condizione più difficile per valutare veramente la forza di un leader, la forza della sua linea politica, perché naturalmente il mito non dà adito ad alcun tipo di valutazione, né in positivo e neppure in negativo. Il mito è il mito, però rimane senz'altro una delle figure più importanti della fine del secolo scorso ed anche una delle figure centrali della crisi della Prima Repubblica».
Più consenso di una delle attuali coalizioni
L'editorialista ha poi messo in evidenza come i voti raccolti dal Partito di Berlinguer nei suoi anni migliori, oggi avrebbero consentito di governare: «Quel consenso – ha detto – oggi non lo prende un'intera coalizione, né di centrodestra né di centrosinistra. Anzi, per dirla tutta, la somma dei voti dei comunisti e della Democrazia Cristiana corrisponde a più del doppio di quello che prendono oggi le coalizioni, tanto per dare un'idea di come sia cambiata la partecipazione popolare».